domenica 11 dicembre 2016

Anche l'Umbria ha detto no
ma la sconfitta qui è orfana

Il punto del direttore dell'11 dicembre 2016

L'Umbria ha detto no. E lo ha detto in una maniera netta che non lascia adito a dubbi o interpretazioni. I numeri sono impietosi e fotografano la realtà, cioè la bocciatura della riforma costituzionale targata Renzi. Il 51,17% contro il 48,83, vale a dire 251.908 voti contro 240.346. Nel dettaglio il no ha vinto in 59 comuni su 92, quasi due terzi del territorio si sono espressi contro la linea del governo centrale. Una debacle per una regione storicamente “rossa” che a differenza delle altre due, Emilia Romagna e Toscana, si è distinta per la prevalenza, se pur di poco, del no.
Il risultato? Una spaccatura dei votanti che in questo caso a differenza delle altre volte, anche delle ultime consultazioni regionali, hanno segnato un’alta affluenza ai seggi, ben il 73,47%, quasi cinque punti percentuale in più rispetto alla media nazionale. Questo il primo dato, l’elemento di partenza per un’analisi a 360 gradi. La voglia di partecipare in primis che non è mai male, al di là del verdetto e anche delle conseguenze. Ma l’analisi del voto va fatta complessivamente e questa, oltre all’affluenza, si deve leggere nelle singole realtà dove per comodità vediamo il dato nella provincia di Perugia dove il no si è attestato sul 50,21% mentre in quella di Terni sul 53,95. Ma scendendo nello specifico ricordiamo che il colore del no si prende con prepotenza il sud dell’Umbria a cominciare dal secondo capoluogo e città come Foligno, Spoleto, Orvieto, Todi, Narni. Mentre al nord si impone il sì, a Perugia, Città di Castello, Gubbio, quasi tutto il Trasimeno e per poco a Gualdo Tadino.
Il secondo dato su cui riflettere è la non omogeneità del voto nelle due province, e questo vuol dire soltanto che il Pd, partito che governa nella quasi totalità delle città umbre dove ha vinto il no, ne esce non solo indebolito ma anche abbastanza delegittimato. Forse le crisi che da qualche tempo investono alcuni municipi sono la causa del malessere e del rigetto dell’approvazione della riforma. E pensando al domani, e cioè alle prossime scadenze elettorali, la situazione è ancora più catastrofica visto che i conti non tornano a Todi, Deruta, Narni, tanto per citare solo le città più rilevanti.
Ma la lettura del referendum non si può limitare solo al commento dei numeri peraltro già abbondantemente esaurito all’indomani dello spoglio. Il no degli umbri è un voto di protesta, un voto ragionato che va oltre i contenuti della riforma della carta costituzionale e investe un’intera classe dirigente anche locale, non solo nazionale. Fanno sorridere quelle affermazioni secondo cui l’Umbria non ha voluto voltare pagina votando no. L’Umbria ha voltato pagina, eccome, in modo chiaro e inequivocabile non votando sì. Poi sono ridicole quelle dichiarazioni di chi si consola sottolineando la vittoria del sì a Perugia dove governa il centrodestra.
Peccato che a parlare così siano renziani doc che a differenza del loro leader non seguono l’esempio di mollare la poltrona. E già dalle parti nostre la sconfitta è sempre orfana, non ha padri né madri, e oggi come oggi neppure padrini e madrine. Sarebbe cosa sana e giusta fermarsi a riflettere seriamente sulle indicazioni degli umbri, sul significato e sul peso di quel no e di quel sì. Chi dirige il partito ha il dovere, se non l’obbligo, di interrogarsi sulle ragioni della sconfitta. Non farlo significa abdicare al proprio ruolo ma per la verità siamo abituati a personaggetti come direbbe De Luca che fanno finta di non vedere, che si destreggiano nel galleggiamento sperando che passi la nottata e che arrivino tempi migliori. La lezione del 4 dicembre ci consegna una nuova fase politica, una fase di scomposizione degli assetti e quindi di ricomposizione dei futuri equilibri. Con qualche dilemma in più: che fine faranno i renziani della prima, seconda e terza ora? E i giovani turchi che non sono più tanto giovani ma sempre più turchi? E i franceschiniani che dopo le dimissioni di Renzi stanno riprendendo pigolo? La verità è che dopo la caduta del governo in seguito alla bocciatura della riforma è ripreso il gioco tanto in voga tra i politici, e cioè quello del riposizionamento.

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