martedì 6 dicembre 2016

Al di là dei modelli, fare presto e bene

Il punto del direttore del 4 settembre 2016

I numeri sono impietosi quanto le immagini che mostrano case rase al suolo, gente impaurita e sfollata, volontari che scavano nelle macerie e funerali strazianti. Dal 24 agosto quasi 4.000 scosse, quasi 5.000 le persone assistite dal violento sisma che ha colpito al cuore un Paese che nell’emergenza sa dare prova di straordinaria generosità. Il Lazio, le Marche e l’Umbria in una notte di fine agosto si sono svegliate perché la terra ha tremato portando morte e distruzione. Quasi trecento le vittime, uomini, donne e bambini.
Anche questa immane tragedia ha ripercorso un copione già visto e scritto in altre precedenti, vicine e lontane, disgrazie. A cominciare dalla condivisione e dal grande altruismo, dal nord al sud della Penisola, che si sono concretizzati nelle sottoscrizioni, nell’invio di beni materiali, in forme di accoglienza, aprendo porte e cuore a chi in una manciata di secondi si è ritrovato a vivere una delle esperienze più terribili di una vita, e partecipando con il conforto a chi sotto quelle pietre ha visto morire genitori, figli, fratelli, amici. Ma come un canovaccio ecco puntuali le polemiche su tutto, addirittura su dove e come svolgere le esequie. Questo è un fatto che ha oltraggiato il decoro e il buon senso con quelle bare che come pacchi postali sono state trasportate da Amatrice a Rieti e poi da Rieti ad Amatrice perché come è giusto che sia i parenti volevano piangere e seppellire i propri cari nei paesi dove sono nati e dove sono morti. Riecco gli sciacalli che senza scrupoli si aggirano tra le rovine saccheggiando i sacrifici di chi ha perso tutto o addirittura rubano giochi per i bambini e cibo destinato ai superstiti. Riecco le inchieste della magistratura che indagano sulle cause dei crolli perché non è stata fatta opera di prevenzione nonostante i tanti soldi stanziati. Riecco le promesse delle istituzioni che si fanno vedere sui luoghi del disastro promettendo alla povera gente che non sarà lasciata sola, che le case saranno ricostruite laddove si sono sbriciolate. Riecco le analisi di esperti che ci riempiono la testa di magnitudo, scale, intensità e ci ribadiscono una verità che appare come la scoperta dell’acqua calda, e cioè che gran parte dell’Italia è a rischio sismologico, ergo che è solo questione di tempo ma di sicuro un altro terremoto ci sarà, il fatto che l’incognita sia soltanto sulla data non è una bella consolazione.
Eppure il capitolo prevenzione viene rispolverato e diventa d’attualità soltanto quando si verificano eventi catastrofici. Su questo vale la pena soffermarsi perché ha proprio ragione il vescovo di Rieti, monsignor Pompili, quando sotto quel tendone davanti alle bare e dopo aver scandito nome e cognome delle vittime, in un clima di agghiacciante dolore ha ricordato che a uccidere è l’opera dell’uomo. Parole vere che inchiodano alle responsabilità, che non ammettono scusanti o giustificazioni. E riecco le discussioni condite da una buona dose di polemiche sul tema della ricostruzione. La nomina di Vasco Errani a commissario è stata letta politicamente come una mano offerta dal premier Renzi alla minoranza del Pd per ricompattare il partito in vista del referendum costituzionale. Ma chi se ne frega se anche così fosse. Ai cittadini del Lazio, dell’Umbria e delle Marche colpiti dal terremoto interessa quello che si dice e soprattutto quello che si fa. Tra poco arriva l’inverno, è impensabile, oltre che indecente, lasciare gli sfollati nelle tendopoli, le casette devono essere sistemate prima dell’arrivo delle avversità metereologiche. Questo si aspetta la gente, questo ha promesso la politica, questo deve succedere.
Si è parlato del modello Emilia per indicare le modalità della ricostruzione, bene qualsiasi modello se si affrontano le priorità come Dio comanda senza lasciare terreno libero per occasioni di malaffare. Ma è doveroso per chi soffre di amnesia ricordare il modello Umbria utilizzato all’indomani del sisma del 1997 che colpì le zone della Valnerina, di Foligno e Assisi, modello che grazie all’allora presidente Bracalente e soprattutto alla presidente Lorenzetti ha permesso di ricostruire secondo criteri efficaci e resistenti interi paesi e borghi danneggiati pesantemente dalle scosse. Non andiamo a inventarci niente quando si parla di ricostruzione, facendo massima attenzione però alle vergogne passate e recenti, e il riferimento è all’Irpinia e alla Campania e anche a L’Aquila. Insomma a una decina di giorni dal sisma la parola d’ordine è ricostruire, e su questo siamo tutti d’accordo. La speranza è che si faccia presto e bene, che il terremoto sappia scuotere la coscienza della politica.

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