martedì 21 novembre 2017

Segnali di ripresa ma il lavoro non c'è

Il punto del direttore del 19 novembre 2017
 
Un'altra abbuffata di numeri e percentuali sull'economia dell'Umbria. Per prima li ha forniti la Cna, la Confederazione degli artigiani, che in un dossier ha riassunto il decennio di crisi e soprattutto i colpi inferti alla comunità regionale. Il quadro è impressionante: 24mila disoccupati in più, 7mila occupati in meno, consumi in diminuzione dell'8,3 per cento, oltre tremila persone in meno, investimenti in calo di oltre un terzo e per chiudere un meno 15 per cento di pil (prodotto interno lordo) nel periodo 2007-14. Dal 2015 si rileva un recupero, pari a più 3,2, in linea con la media nazionale. Solo quest'ultimo dato indica che la ripresa è avviata e la speranza è che prima o poi qualche effetto benefico lo produrrà anche sugli altri indicatori.
La seconda mole di numeri arriva da Bankitalia che sempre in questa settimana ha presentato l'aggiornamento congiunturale confermando che la ripresa si sta consolidando, ma purtroppo non riesce a creare occupazione. Un dato per tutti, la drastica diminuzione delle ore di cassa integrazione, 5milioni in tutto, ossia un meno 41 per cento nei primi nove mesi dell'anno, che letto in negativo vuol dire che va a incidere proprio sull'occupazione. Senza addentrarci nella babele di altre cifre, che rischiano solo di confondere di più le idee, fidiamoci di quello che dice Bankitalia e cioè che i segnali sono incoraggianti, che per il 2018 per la prima volta dopo tanti anni si intravede un clima di fiducia migliorato e il riferimento è soprattutto alle imprese medio grandi, mente per le piccole la situazione resta più difficile. Insomma, secondo gli economisti la crisi è passata, e ci vogliamo assolutamente credere, ma tale asserzione però male si concilia con la realtà di tutti i giorni, e cioè le centinaia di vertenze, il lavoro che non si trova, le aziende che licenziano o chiudono, i disoccupati e i poveri che continuano a crescere. E allora che fare? Da più parti si invoca un grande accordo tra le forze della regione per far sì che la ripresa marci spedita per tutti i segmenti produttivi e, obiettivo prioritario, crei occupazione. C'è chi come Confindustria parla di un nuovo progetto per l'Umbria, oppure la Cna che suggerisce un nuovo patto per l'innovazione e la giustizia sociale, o anche la Cgil che chiede di non restare con le mani in mano. Ora al di là del nome da dare, risparmiamo quelli già usurati come alleanza o patto per lo sviluppo, perché non si tratta di inventare slogan o lanciare format, qui in questione c'è il futuro di questa regione, a partire dalla sua identità. L’importante è che ci sia un piano, che si chiami progetto o Pasqualina non è significativo, che preveda un'assunzione generale di responsabilità che dovrebbe comportare due elementi fondamentali, e cioè la volontà di fare realmente qualcosa perché mai come ora le risorse ci sono e una nuova visione di questa regione, di cosa deve diventare e dove vuole andare. Se non si tengono a mente questi due presupposti si rischia di organizzare l'ennesimo tavolo, più o meno affollato, che con il passar del tempo si trasforma in una delle solite occasioni per una rimpatriata con una perdita di tempo e basta.
anna.mossuto@gruppocorriere.it

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