lunedì 30 novembre 2015

Superare le regioni
ma il modello esiste

Il punto del direttore del 29 novembre 2015

Italia di mezzo, Italia Mediana, Italia centrale. Sono alcuni dei termini in uso da qualche anno per indicare la macroregione frutto dell’aggregazione, che è di là da venire, di più territori che si trovano nel cuore della Penisola. Il tema viene di tanto in tanto rispolverato e si fanno i soliti discorsi, si organizzano i soliti convegni e stati generali, si rilasciano le solite dichiarazioni. Ora è tornato d’attualità grazie a due fatti.
Il primo, un ordine del giorno recentemente approvato in parlamento (si riferisce al disegno di legge a firma Morassut-Ranucci) che rilancia la riduzione delle Regioni italiane da 20 a 12 e per quanto ci riguarda ci inserisce in una Regione Appenninica con la Toscana e la provincia di Viterbo. Il secondo, l’incontro a Perugia tra i governatori di Marche, Toscana e Umbria che hanno siglato una specie di patto (denominato del sagrantino, il vino che ha innaffiato il pasto rigorosamente locale) e immaginato un percorso per arrivare alla “fusione”, all’”amalgama” delle tre regioni. Ora gli antefatti.
La proposta degli esponenti del Pd si riallaccia alla voglia e volontà di riformare l’architettura istituzionale del Paese, partita con la cancellazione (prima o poi si arriverà anche all’abolizione) delle Province.
In mezzo c’è già la trasformazione del Senato (che però per essere operativa dovrà attendere il via libera della Camera e soprattutto la risposta del referendum previsto nell’autunno dell’anno prossimo) e sulla carta il taglio delle Regioni che dopo 45 anni non reggono più, il sistema è degenerato visto che la maggior parte di questi enti è finita da tempo nel mirino della magistratura contabile per sprechi e spese folli. Quindi, l’idea piddina parte dalla necessità di cambiare i confini, la geografia, accorpando e fondendo territori pur di arrivare a una diminuzione di questi centri di potere.
Il vertice dei tre governatori nasce dalla lettera del presidente della Toscana Enrico Rossi che propone una macroregione del Centro Italia con Umbria e Marche perché tra i tre territori esiste una comunanza di arte e paesaggio, cultura e imprenditoria, perché il mondo cambia e non si può stare fermi, perché unendosi si ha più peso in Europa. Visto che la proposta arriva da Rossi, da tutti indicato come sfidante di Matteo Renzi al prossimo congresso del partito, più di qualcuno ci vede una mossa politica per contrastare il premier e tutto quello che arriva dal suo entourage, sempre che il progetto Morassut-Ranucci risulti gradito a Palazzo Chigi. Ma questo appartiene ai retroscena, meglio tornare con i piedi per terra. E prima di addentrarci in un ragionamento sulla bontà o meno degli accorpamenti è giusto ricordare che di macroregioni se ne parlava già agli inizi degli anni Novanta con la Fondazione Agnelli.
Dopo un quarto di secolo la constatazione più evidente è che le Regioni, così congegnate, non sembrano avere vita lunga. Innanzi tutto sarebbe auspicabile, oltre che indispensabile, che i cittadini fossero partecipi e protagonisti di qualsiasi cambiamento. Poi, a prescindere da ciò che succederà e soprattutto quando, sarebbe intelligente, oltre che opportuno, mettere a regime da subito i servizi, spingendo il piede sull’acceleratore della programmazione in un’ottica globale che superi confini e campanili. Per la verità questo poteva essere fatto qualche decennio fa invece di rinchiudersi dentro i propri limiti geografici, dentro i propri campanili.
Oggi, meglio far parte della Regione Appenninica oppure pensare a un ente trilaterale (Tos-Umb-Mar)? O ipotizzare qualche altra soluzione? Ne caldeggiamo una che peraltro già esiste e prevede non 12 Regioni, non 7, bensì 5. Cinque macroregioni che coincidono territorialmente con le circoscrizioni elettorali europee. Quindi Regione Nord-Occidentale (Valle d’Aosta, Lombardia, Piemonte, Liguria), Nord-Orientale (Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige), Centrale (Toscana, Umbria, Marche, Lazio), Meridionale (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria) e Isole (Sardegna, Sicilia). Ovviamente di concerto con questi raggruppamenti deve andare l’abolizione delle Regioni a statuto speciale che risultano anacronistiche e dopo quasi mezzo secolo devono essere considerate uguali alle altre.
Insomma l’Italia Centrale (il termine Italia di mezzo anche se più efficace meglio abbandonarlo perché richiama alla mente, purtroppo, il mondo di mezzo di tolkieniana memoria più volte citato nell’inchiesta mafia capitale) è configurata. Forse è inutile perdere tempo a inventarsi altri modelli, altri marchingegni. E comunque vale la pena di riflettere, senza perdersi in diatribe sterili. Perché alla fine quello che conta davvero è non fare “fusioni” a freddo perché sono pericolose per le Regioni e abbiamo visto anche per i partiti.
anna.mossuto@gruppocorriere.it
www.annamossuto.it

Nessun commento:

Posta un commento