martedì 17 novembre 2015

Guerra difficile ma da vincere

Editoriale Radio Onda Libera del 16 novembre 2015

Strage di Parigi. Un attacco senza precedenti, un attacco alla democrazia, all'umanità. "La terza guerra mondiale combattuta a pezzi", ha detto il Papa. E' stato l'11 settembre della Francia. Il 13 novembre come l'11 settembre 2001 alle Torri gemelle. Il terrorismo islamico ha colpito la normalità, la gente comune che un venerdì sera si ritrovava allo stadio per assistere a una partita, in un bar, al ristorante, in un teatro per un sentire un concerto. Luoghi normali, fino all'altra notte tranquilli e sicuri. Poi un attentato dietro l'altro in più punti della città, a opera di kamikaze che uccidono uomini, donne, bambini innocenti nel nome di Allah, nel nome di una religione.

Le immagini del dolore le abbiamo ben stampate nella nostra mente e in tutto il mondo la paura cresce perché ci sentiamo più fragili, più vulnerabili. Da due giorni si fanno bilanci e si cerca di capire le ragioni che hanno portato a un bilancio di lutto, con oltre 130 vittime, e ancora un centinaio i feriti alcuni dei quali gravi. Si sono susseguiti dichiarazioni di solidarietà dai leader di tutto il pianeta, incontri e vertici per innalzare il livello di sicurezza e studiare una strategia comune contro il terrorismo. La speranza è che non siano soltanto parole, e che una volta passati lo choc e la partecipazione per gli attentati parigini, tutto torni come prima. L'Isis a organizzare altri attacchi, noi l'Occidente a pensare ad altro, alla vita di sempre.
Ma da venerdì nulla può essere come prima perché la strage ha colpito al cuore una città, un Paese, ma è meglio dire tutti i Paesi. E coloro che governano, i potenti della Terra, devono prendere atto che si tratta di una guerra, una guerra diversa da quelle che abbiamo avuto, che ci sono in diversi Paesi del mondo e che abbiamo studiato sui libri di storia. E' una guerra ideologica e religiosa, una guerra che non ha confini, e chi la combatte ha in mente solo la supremazia dello stato islamico. Per questi motivi combatterla non è affatto semplice perché a nostro avviso organizzare ed effettuare i raid aerei sui Paesi del califfato come sta facendo in queste ore la Francia non serve, purtroppo, a nulla. Perché i terroristi infarciti dell'intolleranza e dell'odio sono nei nostri Paesi, vivono nelle nostre città, frequentano i nostri locali, le nostre palestre. Lo vediamo da questi assassini che hanno fatto la carneficina l'altra notte. Del commando di otto attentatori alcuni sono nati a Bruxelles a Parigi, sono cittadini dei nostri Paesi.
Abbiamo forti perplessità nel tentare di uccidere i terroristi islamici nei loro Paesi, nelle loro città, perché potrebbe rivelarsi una operazione non risolutiva. Forse la strada sarebbe quella di estirpare le ragioni che armano questi kamikaze che non hanno scrupoli nell'uccidere e morire in nome di un ideale, come quella di controllare le moschee che stanno nei nostri Paesi che possono trasformarsi a anziché in luoghi di culto in veri e propri centri di addestramento.
Ci rendiamo conto che è una strada lunga, difficile, ma non abbiamo voluto ascoltare gli avvisi di una grande scrittrice come la Fallacci che quasi quindici anni ci aveva messo in guardia sul pericolo di una guerra anomala e sanguinosa, sull'obiettivo dello stato islamico di sottomettere l'Occidente. Speriamo che non sia troppo tardi.

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