giovedì 12 novembre 2015

La spending review può attendere

Editoriale Radio Onda Libera del 12 novembre 2015

La spending review, ovvero la revisione della spesa pubblica, non è una priorità per il governo. Eppure da una decina di anni, più o meno, ci hanno riempito la testa con l'urgenza di tagliare, di rivedere i conti, di risparmiare. Oggi non è più così. Perché l'ennesimo esperto ha alzato bandiera bianca e ha mollato l'incarico. Negli ultimi otto anni abbiamo cambiato ben 4 commissari alla spending review. Si è dimesso il professor Roberto Perotti, docente della Bocconi,  entrato nello staff di palazzo Chigi appena sei mesi fa.
"In questa fase non mi sento molto utile", ha detto testualmente. La storia è cominciata nel 2006 con il ministro Tommaso Padoa Schioppa del governo Prodi. poi ci fu il primo tentativo di mettere ordine ai conti nel 2012 quando il governo Monti, che in fatto di tagli veri mica scherzava (basti pensare cosa è successo alle pensioni), affido ufficialmente il dossier a Giarda. Grande esperto di spesa pubblica, l’allora ministro per i Rapporti col Parlamento, individua circa 100 miliardi di «spesa aggredibile nel breve periodo» e ipotizza da subito circa 5 miliardi di risparmi. Non si fa in tempo a mettere in pratica il piano che Monti lo sostituisce con Bondi, l'ex commissario Parmalat, che passa ai raggi «X » ministero per ministero, regione per regione, comune per comune, analizza spese e sprechi, e scodella un piano da 4,2 miliardi di risparmi immediati destinati a salire a 10 l’anno seguente.
A inizio 2013 però anche Bondi lascia. Al posto di monti arriva Letta che per questo compito chiama Cottarelli. Il supertecnico del Fondo monetario a  inizio 2014 scodella un piano monstre: subito 7 miliardi di risparmi, quindi 18,1 nel 2015 (poi ridotti a 16) e addirittura 33,9 (quindi scesi a 32) nel 2016.
Cottarelli vuol chiudere 2 mila partecipate, accorpare i centri di spesa, tagliare sanità, pensioni, province, corpi di polizia, fondi per le imprese e auto blu.
Dopo Letta arriva Renzi ed il lavoro di Cottarelli, appena abbozzato nei mesi precedenti, potrebbe finalmente decollare e invece si affloscia, anzi si torna al passato dei tagli lineari e Cottarelli getta la spugna.
Da allora è passato un anno e siamo da capo. Adesso lascia anche Perotti, subentrato lo scorso marzo, che avrebbe voluto intervenire sulle spese fiscali (detrazioni, sconti e bonus vari) ma Renzi lo ferma perché non vuole aumentare in alcun modo le tasse. E così la spending review 2016 che puntava al solito obiettivo ambizioso (16 miliardi) frana: prima scende a quota 10 e poi va addirittura sotto i 5.
Dopo questa carrellata storica sulla fine dei commissari, non ci sono tanti commenti da fare se non che in questo Paese si preferisce aumentare il debito e non tagliare la spesa pubblica. Eppure di sprechi nella pubblica amministrazione se ne vedono tanti, troppi. Questo lo sa bene anche Renzi che parla di riforme è qualcosa in questo senso sta facendo. Ma la vera grande riforma che sarebbe apprezzata dai cittadini è proprio quella dei tagli alla macchina pubblica. Ma pare proprio una missione impossibile.

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