domenica 29 giugno 2014

Un solo collegio per la nuova regione

Il punto del direttore del 29 giugno 2014

Le riforme sono all'ordine del giorno, al primo punto di ogni agenda politica che si rispetti. Quella elettorale è la madre di tutte, quella più stringente e quella che stabilisce le regole di gioco per accedere alle assemblee dei palazzi. Di quella nazionale se ne parla da qualche mese, tra patto del Nazareno e dirette streaming e una serie di definizioni, rigorosamente con la finale latineggiante, dopo che la Consulta ha di fatto cancellato il porcellum (ritenuto tale dallo stesso ideatore Calderoli). C'è la bozza partorita da Renzi chiamata Italicum, che secondo qualcuno è un pastrocchium e sarebbe meglio tornare al mattarellum. E c’è la proposta dei pentastellati soprannominata democratellum.
Di quella regionale invece, come sempre succede, se ne parla a fine legislatura. E infatti il dossier è stato portato sul tavolo della commissione competente e i punti cruciali sono diversi.

A cominciare dal listino, quella sorta di zona franca dove un gruppetto di privilegiati si ritrova eletto in assemblea senza passare per il vaglio del consenso popolare. Tutte le forze politiche sono, a parole, concordi nell'abolizione.
Speriamo che l’accordo non venga meno nei fatti.
Ma sarebbe un’indecenza continuare a permettere a esponenti politici di essere eletti a Palazzo Cesaroni quando non hanno neppure i voti dei propri familiari.

Ovviamente connesso a quanto sopra il meccanismo di elezione non può non essere quello delle preferenze, sul modello della legge sui sindaci e delle europee. Sarebbe un controsenso pensare un altro sistema che produrrebbe un gruppo di consiglieri nominati dai partiti e non scelti dai cittadini. 
Sul voto di genere, una specie di quote rose da riservare alle donne, la contrarietà è totale dal momento che chi fa politica deve raffrontarsi con l’elettorato, a prescindere dal sesso e l’auspicio è di avere dei bravi politici e delle brave politiche. Riserve indiane, aiutini o escamotage non favoriscono le donne a emergere ma le ghettizzano. E’ un po’ la stessa argomentazione dei giovani a tutti i costi, come se l’età fosse una condicio sine qua non per essere uno o una capace. Di questi tempi, e non solo, meglio uno maturo e capace anziché uno giovane e incapace. Anche perché in giro ci sono tanti giovani anagraficamente ma vecchi politicamente.
Il secondo punto su cui è prevista battaglia è quello dei collegi: c’è chi vorrebbe un unico collegio elettorale e c’è chi invece con varie argomentazioni propenderebbe per uno spezzettamento territoriale, da due ad addirittura più di minicircoscrizioni.
A nostro avviso, viste anche le modeste dimensioni dell’Umbria e soprattutto una normativa che semplifichi il più possibile l’architettura istituzionale, l’ideale sarebbe un solo collegio. Anche perché i consiglieri regionali dovrebbero rappresentare le istanze e i bisogni di tutto il territorio, dal nord al sud e da est a ovest e non si dovrebbero considerare e non dovrebbero essere considerati come dei “sindaci” che presiedono e curano un pezzo di regione.
Un altro quesito che tiene banco è elezione diretta o doppio turno? Collegati a questo dilemma ci sono il premio di maggioranza e la soglia di sbarramento. Mentre fino a ieri non erano emerse grandi divisioni ora anche con la riduzione del numero dei consiglieri da 30 a 20 le ambizioni dei partiti più piccoli si fanno sentire. E ovviamente sono partiti i diktat e i veti, gli avvertimenti e gli altolà, prima sussurrati e sotterranei, poi negli ultimi giorni dichiarati e alla luce del sole.
Al di là di quelle che sono e saranno le posizioni delle forze politiche chiamate a ragionare sulla nuova legge elettorale va detto che una riforma del genere andrebbe elaborata con la più larga condivisione possibile.
Si tratta di stabilire appunto le modalità di un percorso che garantisca una vera rappresentanza nella massima istituzione regionale, quindi la quadratura del cerchio va perseguita a tutti i livelli e a tutti i costi.
Sicuramente sulla discussione influisce, e non poco, il finimondo che è accaduto venti giorni fa quando Perugia, la capitale dell’Umbria, è stata conquistata dal centrodestra. Perché lo sguardo del centrosinistra in primis, dopo la botta e i brividi, si è allungato a Palazzo Donini che tra circa otto mesi, con l’estate di mezzo, è interessata al voto. E mai come adesso è diventato un obiettivo contendibile.
anna.mossuto@gruppocorriere.it
www.annamossuto.it

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