Dopo l’Expo di Milano, il Mose in Veneto. Le grandi opere vengono sommerse dalle
tangenti, riemerge un passato che invano il tempo e ultimamente il
vento di Renzi avevano cercato di lasciare nell'archivio. E invece ora il presidente del Consiglio è costretto di
nuovo a commentare ”un’amarezza enorme”, una “ferita”. E tutti possiamo
constatare che il sistema della corruzione è più vivo che vegeto, più forte di
prima.
Siamo d'accordo con Renzi quando dice che al netto della
presunzione di innocenza garantita dalla Costituzione, “un politico indagato
per corruzione andrebbe indagato per alto tradimento. Il problema della
corruzione non sono le regole che non ci sono ma quelle che non si rispettano”.
L'auspicio è che i processi vadano veloci e si arrivi a
sentenza il prima possibile. Ma il problema non si può nascondere, celare
dietro frasi di circostanza, così tanto per commentare fatti così gravi.
Lo scandalo Mose è trasversale, coinvolge il sindaco di
Venezia vicino al Pd e altri esponenti democratici, investe due ex ministri di
Forza Italia come Galan e Matteoli.
Questo vuol dire che i partiti tradizionali sono tutti sullo stesso
piano, nel senso che il meccanismo delle mazzette per i lavori pubblici non
conosce colore.
Certo, la responsabilità è personale, si sente dire in
giro, ci mancherebbe altro questa è una verità, una garanzia assoluta. Ma se
come sta venendo fuori pagare le mazzette è normale allora si tratta di un
sistema diffuso, allora è giusto parlare di responsabilità politica. E la
risposta non può essere solo quella della giustizia ordinaria. Ci vuole
un'assunzione di responsabilità più generale per smantellare il malaffare generato
dalla politica.
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