domenica 21 luglio 2013

Quell'assurda cocorrenza

Il punto del direttore del 21 luglio 2013

Da decenni l’Umbria si fa conoscere in tutto il mondo per manifestazioni culturali di altissimo livello. Due di queste sono Umbria Jazz, che quest’anno ha spento le quaranta candeline, e il Festival dei due mondi, giunto alla cinquantaseiesima edizione. Da pochi giorni si sono tirati i bilanci delle due kermesse. Entrambi lusinghieri, entrambi con numeri importanti (in totale 85mila paganti, un milione e 600mila euro d’incassi). Però un aspetto, incomprensibile, li accomuna, li unisce. Un aspetto che risponde al nome di sovrapposizione dei calendari.
I due eventi richiamano pubblico, e tanto, perché le formule funzionano, garantiscono un’offerta di qualità, un cartellone di artisti e spettacoli di primissimo piano. Bene, questo ci rende felici. Ma lo saremmo ancora di più se avessimo la possibilità di gustarci le due manifestazioni fino in fondo.
Attenzione, non c’è nessuna vena polemica in questo discorso. C’è soltanto la voglia di fare un ragionamento semplice, terra terra, ricorrendo al buon senso. E lo vogliamo fare perché interpretiamo il pensiero di tanti, tantissimi che non avendo il dono dell’ubiquità hanno dovuto scegliere tra uno spettacolo e un concerto. E poi perché ci sembra doveroso porre ancora una volta la questione, a sipari calati, perché, pur sforzandoci, non afferriamo le ragioni che spingono gli organizzatori a proporre nello stesso periodo, negli stessi giorni, due rassegne che richiamano turisti, che producono reddito e rafforzano l’immagine dell’Umbria.
Non capiamo soprattutto perché le istituzioni che sostengono queste manifestazioni con contributi pubblici non si impongono convincendo i patron a scegliere calendari diversi, non sovrapposti.
E’ una questione di sensibilità e anche di rispetto, come ha scritto Guido Perosino in un editoriale su queste colonne, verso i cittadini, i turisti, gli spettatori. Ricordando anche che una delle giustificazioni raccontate in passato è che si tratta di “due pubblici diversi”. Concordiamo con lui che ci sembra una schiocchezza perché il jazz così come il teatro di qualità e la buona danza sono ormai quasi totalmente trasversali e questa assurda sovrapposizione obbliga tanti a rinunciare a uno spettacolo per un altro. Concentrare negli stessi giorni offerte culturali di richiamo che riempiono arene e teatri è una scelta che non aiuta, forse penalizza il territorio che da questi eventi, se spalmati, ne potrebbe ricavare benefici maggiori e soprattutto cadenzati. Questa strategia appare, anzi lo è, perdente e masochista perché con i tempi che corrono andrebbero sfruttati al meglio per le ricadute positive alla voce turismo. Con questo modo di fare pare invece che manchi una regia della politica culturale, pare che a resistere sia la lotta tra campanili quando il tutto avviene a distanza di neppure una cinquantina di chilometri. Sarebbe senza dubbio più intelligente accantonare le rivalità e i personalismi, della serie chi fa il primo passo, e pensare una volta per tutte che cosa è meglio per la regione, per la promozione e le casse dell’Umbria.
Quest’anno è andata così, l’anno scorso pure e anche gli anni precedenti. Per l’anno prossimo è previsto un ritocco, nel senso che l’accavallamento riguarderà solo un fine settimana. Perché sarebbe la cosa giusta? No, perché ci saranno i mondiali e allora Umbria Jazz slitterà in avanti. Quello che non riesce a fare la politica, e il buon senso, lo fa il calcio. Una consolazione. Ma triste, parecchio triste.
anna.mossuto@gruppocorriere.it
www.annamossuto.it

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