venerdì 23 marzo 2012

Ci voleva il morto per svegliare le coscienze?

Il punto del direttore del 18 marzo 2012
Le belve sono state catturate. Più o meno con queste parole sono stati redatti i titoli degli articoli che raccontavano l’arresto degli assassini, dei rapinatori e degli stupratori. Le belve che hanno terrorizzato una città, una regione, che hanno ammazzato come un cane Luca Rosi, bancario di Ramazzano, che hanno stuprato una donna di 54 anni, sono state assicurate alla giustizia. Ne manca ancora una all’appello ma ha le ore contate e l’auspicio è che presto vada a far compagnia ai suoi complici.
E’ condivisibile in pieno il plauso alle forze dell’ordine che senza risparmio di energie hanno in 15 giorni individuato e ammanettato questi delinquenti.  Ora forse siamo tutti un po’ più tranquilli, anche se la consapevolezza dell’escalation della criminalità è un sentimento diffuso. Così come la preoccupazione di girare per certi vicoli di sera, di passeggiare di pomeriggio per il centro storico, di essere violati nella propria casa e intimità familiare. E  sono tanti ancora gli interrogativi in attesa di risposte perché la paura non svanisce da un giorno all’altro, non sparisce come la neve al sole.
Possibile – la domanda più ricorrente – che bisognava aspettare il morto per suonare il campanello d’allarme? Che si doveva consumare un sacrificio umano per svegliarsi e prendere di petto l’emergenza?  Non erano sufficienti i tanti assalti nelle ville negli ultimi mesi? E i tanti arresti per spaccio di droga e le tante croci per overdose? 
 Sull’argomento due-tre cose vanno dette con chiarezza e con onestà.  Perché solo non raccontandoci bugie possiamo sgombrare il campo da equivoci e alibi e soprattutto impegnarci, tutti insieme, per ristabilire quella soglia di sicurezza che in passato faceva di Perugia e dell’Umbria un’isola felice.  Sono state apprezzate le parole di coloro che anche pubblicamente hanno ammesso di aver sottovalutato il problema, di aver assunto, volente o nolente, un atteggiamento di lassismo nei confronti della piccola delinquenza che nel giro di poco ha acquisito dimensioni grandi e feroci, di aver nascosto anche di fronte a fatti gravi la testa sotto la sabbia come gli struzzi. Per non guardare, per non ammettere che qualcosa di brutto stava succedendo, per non accettare che il male potesse intaccare le nostre città, i nostri borghi, la nostra regione. Ben venga il mea culpa, ben venga l’esame di coscienza, ben venga l’ammissione di errori e soprattutto il riconoscimento dell’esistenza del problema sicurezza. Questa è la strada giusta per ricominciare, per rinserrare le fila contro la violenza.  Come è accaduto in questi quindici giorni, con tutte le componenti schierate, dalle istituzioni alle forze dell’ordine, alle associazioni, alla cittadinanza. E questa mobilitazione dovrà continuare, senza abbassare mai, neppure per un attimo, la guardia. Perché in ballo ci sono la nostra vita, la nostra tranquillità, il nostro benessere. E dei nostri figli che non devono convivere con la paura, che hanno diritto di crescere in un ambiente sano e sicuro.
Poi, in merito a quanto accaduto, sacrosante le dichiarazioni dei familiari di Rosi che nonostante il dolore per la morte ingiusta e atroce del loro Luca fanno sapere di volere giustizia e non vendetta. Condividendo quest’appello, aggiungiamo che di pari passo deve esserci  la certezza della pena.  Perché in uno stato di diritto chi ha sbagliato deve pagare. E fino in fondo, fino all’ultimo giorno di galera.  Luca non tornerà più in vita e come lui le tante vittime di violenza.  Ma non assicurare una giusta condanna e non far sì che i responsabili la scontino significa oltraggiare la loro memoria.

Nessun commento:

Posta un commento