lunedì 5 marzo 2012

Basta parole, ora i fatti

Il punto del direttore del 4 marzo 2012
Quando accadono fatti come quello di Ramazzano tutto passa in secondo piano, tutto diventa insignificante, quasi banale.  La politica, le divisioni e le lotte di potere, le larghe intese, le polemiche e le discussioni sembrano piccole e misere cose di fronte all’efferatezza di un omicidio che sconvolge la quotidianità e il tessuto di un paese.
La furia assassina di un manipolo di delinquenti scatena un miscuglio di sentimenti, di reazioni. Dolore e lacrime, rabbia e indignazione. Una vita stroncata per niente, una famiglia distrutta, una comunità terrorizzata, una città annichilita.
Ecco, in una manciata di minuti il mondo può cambiare, può capovolgersi. E nulla sarà come prima. L’assalto nella casa della famiglia Rosi è solo l’ennesimo atto violento compiuto in questa regione che una volta si fregiava di essere un’isola felice. Oggi non è più così. Veramente non lo è più da un bel pezzo. Da quando la soglia di sicurezza si è abbassata ben sotto il livello di sopportabilità,  da quando le rapine nelle ville non sono più episodi eccezionali, da quando Perugia si è imposta come la capitale della droga e dello spaccio, da quando i crimini perpetrati spingono a ritenere che le infiltrazioni della delinquenza organizzata non siano semplici ipotesi fantasiose o accademiche.  Insomma la gente ha paura, non si sente più sicura neppure tra le quattro mura domestiche. Perché se si arriva a essere violati nella propria intimità e a non poter impedire che si verifichi un omcidio, che un bambino di otto anni assista a una tragedia di tale dimensioni, allora vuol dire che questa città, questa regione deve porsi con forza, senza infingimenti e ipocrisie, il problema della sicurezza.
Ora è il momento del cordoglio, della partecipazione e della solidarietà, quindi si giustificano anche quei commenti di circostanza, quelle parole sempre uguali a se stesse, scontate, retoriche delle istituzioni.
Ma da domani le cose dovranno cambiare, le chiacchiere devono lasciar posto alle azioni. Serve la consapevolezza che la sicurezza è un’emergenza, una priorità. Serve un’assunzione collettiva di responsabilità. Tutti, istituzioni, cittadinanza e forze dell’ordine, dobbiamo renderci conto che non si può andare avanti così, che non è possibile essere prigionieri nei nostri borghi o peggio ancora vittime di delinquenti senza scrupoli che scorrazzano di notte e di giorno lungo le nostre strade, lungo i nostri vicoli. 
Questo fatto sarebbe potuto succedere dappertutto. Come l’omicidio di Meredith. Ma non si faccia lo stesso, imperdonabile e grave errore. Quello di nascondere la testa sotto la sabbia, quello di pensare appunto che si trattava di un evento “normale” la cui ruota della casualità si era fermata in via della Pergola. No, il caso Meredith è accaduto nel cuore della città e ha fatto venire a galla un sistema collaterale di droga e altro, Luca Rosi è stato ucciso barbaramente davanti agli occhi della madre, della compagna, del nipotino, in una villetta alla periferia del capoluogo.  E quando la violenza arriva a questo punto tutti siamo più deboli, più indifesi, più poveri.  Proprio per ciò non possiamo rimanere con le mani in mano, non possiamo dopodomani dimenticarci di quello che è successo, non possiamo solo augurarci che non accadano più queste tragedie.

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