La Perugina mette in vendita le caramelle "Rossana" e i
biscotti "Ore liete". La notizia è clamorosa ed è arrivata tramite un articolo
riportato dal "Corriere della sera", ieri, alla vigilia di un incontro importante
previsto per oggi nel corso del quale l'azienda Nestle presenterà il piano
industriale. I lavoratori ovviamente non l'hanno presa bene, hanno
subito proclamato un ora di sciopero alla fine di ogni turno. E hanno espresso parole di fuoco contro questa ipotesi che,
se si avverasse, sarebbe un grave impoverimento se non un colpo mortale per
l'azienda di San Sisto.
Certo queste indiscrezioni non hanno fatto bene alle
relazioni sindacali, ai rapporti tra azienda e sindacato, che proprio nel
giorno del confronto partono con il piede sbagliato. Nel dettaglio, le
indiscrezioni parlano di una cessione da parte della multinazionale svizzera
del marchio e non della produzione di caramelle e biscotti. A essere
interessati diversi marchi, diversi gruppi industriali come Sperlari,
Ambrosoli, Elah, Nuovi e Perfetti. Insomma la Nestlé se intraprenderà questa
strada si concentrerà solo sul cioccolato tagliando tutto il resto.
Le reazioni a tale possibilità sono state immediate, a
cominciare da quella della Cgil che con la sua segretaria nazionale Camusso,
ieri a Perugia per un'altra manifestazione, ha parlato del pericolo di
ridimensionamento della fabbrica. Ma anche le istituzioni locali si sono mosse e si sono
dette preoccupate per quanto letto. E oggi si presenteranno all'incontro con
l'azienda per ascoltare i contenuti del piano in merito al futuro della
Perugina.
Il nostro parere. Quella della fabbrica inventata da
Luisa Spagnoli, alla ribalta in questo periodo grazie anche alla fiction, è
una storia che racconta purtroppo le vicissitudini della classe imprenditoriale.
E viene da lontano, da quando il marchio fu ceduto a De Benedetti e poi alla
multinazionale svizzera Nestlé. Quando il cervello di un azienda emigra i
rapporti per quanto improntati alla correttezza - e ci mancherebbe altro - sono sempre diversi, più complicati. E un
territorio, una comunità con le sue istituzioni dovrebbero fare qualcosa prima,
chiedere garanzie sul mantenimento del sito produttivo e soprattutto sui
livelli di occupazione. Se non ci si rende conto che il passaggio di mano comporta
un distacco, un modo diverso di produrre, allora i rischi aumentano e di
brutto.
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