giovedì 3 marzo 2016

Nubi sul futuro della Perugina

Editoriale Radio Onda Libera del 2 marzo 2016

La Perugina mette in vendita le caramelle "Rossana" e i biscotti "Ore liete". La notizia è clamorosa ed è arrivata tramite un articolo riportato dal "Corriere della sera", ieri, alla vigilia di un incontro importante previsto per oggi nel corso del quale l'azienda Nestle presenterà il piano industriale. I lavoratori ovviamente non l'hanno presa bene, hanno subito proclamato un ora di sciopero alla fine di ogni turno. E hanno espresso parole di fuoco contro questa ipotesi che, se si avverasse, sarebbe un grave impoverimento se non un colpo mortale per l'azienda di San Sisto.
Certo queste indiscrezioni non hanno fatto bene alle relazioni sindacali, ai rapporti tra azienda e sindacato, che proprio nel giorno del confronto partono con il piede sbagliato. Nel dettaglio, le indiscrezioni parlano di una cessione da parte della multinazionale svizzera del marchio e non della produzione di caramelle e biscotti. A essere interessati diversi marchi, diversi gruppi industriali come Sperlari, Ambrosoli, Elah, Nuovi e Perfetti. Insomma la Nestlé se intraprenderà questa strada si concentrerà solo sul cioccolato tagliando tutto il resto.
Le reazioni a tale possibilità sono state immediate, a cominciare da quella della Cgil che con la sua segretaria nazionale Camusso, ieri a Perugia per un'altra manifestazione, ha parlato del pericolo di ridimensionamento della fabbrica. Ma anche le istituzioni locali si sono mosse e si sono dette preoccupate per quanto letto. E oggi si presenteranno all'incontro con l'azienda per ascoltare i contenuti del piano in merito al futuro della Perugina.
Il nostro parere. Quella della fabbrica inventata da Luisa Spagnoli, alla ribalta in questo periodo grazie anche alla fiction, è una storia che racconta purtroppo le vicissitudini della classe imprenditoriale. E viene da lontano, da quando il marchio fu ceduto a De Benedetti e poi alla multinazionale svizzera Nestlé. Quando il cervello di un azienda emigra i rapporti per quanto improntati alla correttezza - e ci mancherebbe altro - sono sempre diversi, più complicati. E un territorio, una comunità con le sue istituzioni dovrebbero fare qualcosa prima, chiedere garanzie sul mantenimento del sito produttivo e soprattutto sui livelli di occupazione. Se non ci si rende conto che il passaggio di mano comporta un distacco, un modo diverso di produrre, allora i rischi aumentano e di brutto.

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