Oggi ci occupiamo ancora della trattativa per l’Ast, la fabbrica di acciaio di Terni,
che si è rotta stanotte intorno alle una. Proprio mentre al Senato si stava
votando la fiducia per il jobs act. Azienda e sindacati hanno rigettato la proposta
d’accordo. Impossibile trovare un’intesa e ora si aprono scenari a dir poco
preoccupanti: l’Ast avrebbe pronte le lettere di licenziamento, quelle 550
inviate già a luglio e poi “stracciate”, mentre i sindacati ritengono
necessario un confronto con i lavoratori.
Da parte del governo è arrivata la richiesta alla proprietà di attendere prima di compiere atti unilaterali come l’invio delle lettere di messa in mobilità. Alla rottura si è arrivati dopo che la proposta avanzata dal ministro Guidi e dal sottosegretario Delrio è stata bocciata sia dall’azienda che dai sindacati. Le parti, su questo punto “d’accordo”, hanno giudicato irricevibile l’ipotesi di accordo. Proposta che prevede che il piano industriale dell’azienda sia cambiato nel senso dell’impegno a garantire il mantenimento del sito industriale e della capacità produttiva dell’area a caldo e dell’area a freddo. Previsti quindi investimenti per 110 milioni più lo spostamento a Terni della linea di laminazione di Torino e il rafforzamento della struttura commerciale sia sul mercato italiano che su quello internazionale. Si riduce così l’impatto occupazionale, da 550 unità a 290, da gestire – secondo la proposta del Mise – con procedure di mobilità volontaria e incentivata.
Da parte del governo è arrivata la richiesta alla proprietà di attendere prima di compiere atti unilaterali come l’invio delle lettere di messa in mobilità. Alla rottura si è arrivati dopo che la proposta avanzata dal ministro Guidi e dal sottosegretario Delrio è stata bocciata sia dall’azienda che dai sindacati. Le parti, su questo punto “d’accordo”, hanno giudicato irricevibile l’ipotesi di accordo. Proposta che prevede che il piano industriale dell’azienda sia cambiato nel senso dell’impegno a garantire il mantenimento del sito industriale e della capacità produttiva dell’area a caldo e dell’area a freddo. Previsti quindi investimenti per 110 milioni più lo spostamento a Terni della linea di laminazione di Torino e il rafforzamento della struttura commerciale sia sul mercato italiano che su quello internazionale. Si riduce così l’impatto occupazionale, da 550 unità a 290, da gestire – secondo la proposta del Mise – con procedure di mobilità volontaria e incentivata.
Dopo l’ennesimo tira e molla, durato otto ore, la
trattativa è come detto naufragata nella notte e ora è difficile prevedere che
cosa succederà. Gli scenari che si aprono sono inquietanti. L'azienda
potrebbe inviare già dalla mattina di oggi, giovedì, le lettere di
licenziamento pronte da luglio. Per onestà va detto che la legge prevede circa
tre mesi di tempo affinché la procedura divenga effettivamente operativa. Ma
l’invito del governo a non mettere in atto per ora iniziative unilaterali,
potrebbe dare il tempo alle parti di riorganizzare le “idee” in vista di un probabile
prossimo nuovo appuntamento. Un debole appiglio questo, il timore che da oggi può
succedere di tutto, sono state convocate assemblee in ogni reparto dalle 12.30
in poi.
Commentare quanto accaduto è difficile, sappiamo
soltanto che questa vertenza è la madre di tutte le vertenze, che le
acciaierie ternane sono la prima fabbrica della regione, che qualora si
procedesse allo smantellamento del sito e quindi al licenziamento di centinaia
a di lavoratori significherebbe un colpo mortale all'economia della regione. E
che l'Umbria non sarebbe più la stessa.
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