mercoledì 15 ottobre 2014

La partita dell'acciaio
è la partita dell'Umbria

Il punto del direttore del 10 ottobre 2014
Purtroppo è accaduto ciò che si temeva, che si paventava alla vigilia dell’ultimo, ennesimo, incontro: la rottura della trattativa sul tavolo nazionale. L’azienda e i sindacati sono stati per una volta d’accordo nel rifiutare la proposta del governo, per il resto le distanze sono rimaste abissali da far alzare bandiera bianca e dichiarare il fallimento di ogni ipotesi di accordo. Il filo, esile, del confronto si è strappato mentre a Palazzo Madama andava in scena l'indegno spettacolo della politica per il jobs act.
La notizia è rimbalzata nel cuore di Terni, dalle parti di viale Brin, come un macigno, facendo immaginare prospettive inquietanti per il futuro delle acciaierie e di centinaia di famiglie. E così è stato. Senza guardare in faccia a nessuno, l’azienda ha fatto partire poche ore dopo le 537 lettere di licenziamento, fregandosene anche dell’appello del governo a non compiere atti unilaterali. Un giorno buio, terribile, le relazioni sindacali sono andate a farsi benedire. La giornata di ieri è stata pesante, drammatica, la risposta altrettanto con lo sciopero immediato e i cortei nei luoghi simbolo della città. Tra gli operai si percepivano, anzi quasi si toccavano con mano, alcuni sentimenti: rabbia e amarezza, delusione e sconforto, ma soprattutto disperazione e paura per il posto di lavoro che rischia di essere cancellato con un colpo di spugna e con esso anche i progetti di una vita e in particolare la dignità. La partita dell’acciaio è la partita di tutti, di tutti coloro che hanno a cuore il bene di questa terra. Non è una battaglia di un territorio, di singoli lavoratori. Lo abbiamo scritto tante volte, come tante volte abbiamo sottolineato che la vertenza Ast è la madre di tutta le vertenze, che il destino della fabbrica di Terni riguarda lo sviluppo della regione perché da sola rappresenta con i suoi quasi tremila dipendenti diretti, senza calcolare l'indotto, il 20 per cento del prodotto interno lordo dell’Umbria. Questo è il momento dello sconforto, comprensibilissimo, ma subito dopo deve essere quello dell’impegno per salvare il salvabile, per impedire che si gettino in mezzo alla strada centinaia di famiglie e che questa crisi si porti via un pezzo di regione. Le reazioni parlano un solo linguaggio, a parte qualche sfumatura e qualche vena polemica fuori luogo, e invocano con una sola voce che l’unica strada percorribile è quella del dialogo.
Bene, siamo d’accordo, ci mancherebbe altro. Sperando però questa volta che sull’Ast non si consumi come successo da metà luglio in poi un siparietto con i vari personaggi che si sono cimentati in un gioco delle parti. In pieno solleone c’era chi pensava che la Thyssen Krupp avrebbe fatto come il cane che abbaia ma non morde. E c’era chi si augurava che in maniera automatica come per magia la vertenza rientrasse e la “bomba” dei licenziamenti non esplodesse. Tutti però bravi e solerti a inviare note di solidarietà ai lavoratori. Della serie parole, tante, e fatti, pochi. Ma ora è inutile, oltre che controproducente, inscenare il balletto delle recriminazioni e delle accuse. Per una bella autocritica e anche un approfondito esame di coscienza ci sarà tempo, speriamo dopo. Oggi l’atteggiamento più intelligente e più responsabile è quello di spingere tutti insieme verso un’unica direzione e pretendere con forza dal governo la convocazione immediata delle parti, azienda e sindacati, per trovare a tutti i costi un accordo. E’ vero che le posizioni sono lontane anni luce ma non provare a ricucire e abdicare al ruolo di mediazione significa decretare un altro fallimento, quello della politica. Perché se le procedure per i licenziamenti si perfezioneranno l’Umbria sarà inevitabilmente più povera.

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