domenica 13 aprile 2014

Cinque Comuni uniti
contro i campanilismi

Il punto del direttore del 13 aprile 2014

Cinque Comuni dell’Umbria hanno deciso di unirsi e fondersi in un unico ente. Oggi i cittadini, quasi 6.500, di questi municipi dalle 7 alle 22 sono chiamati attraverso un referendum consultivo a scrivere sì o no sulla scheda, a dire se sono d’accordo sulla proposta di far parte di un solo grande soggetto istituzionale. E’ un fatto importante perché è la prima volta che nella nostra regione le popolazioni di cinque amministrazioni sono invitate a esprimersi su una riforma concreta e che in caso di prevalenza delle ragioni della fusione cambierà la vita di tutti i giorni.

Detto questo, come sempre accade, accanto alle motivazioni che propendono per il sì sono nate divergenze e opposizioni per voce di comitati spontanei. A fondamento della contrarietà la cancellazione dell’identità, della storia e delle tradizioni del campanile. Tutti argomenti legittimi e comprensibili ma a nostro avviso non sufficienti per tagliare le gambe a un progetto di cambiamento, di vero cambiamento. Da decenni si parla in tutte le sedi di riformare l’architettura delle istituzioni, e tocca dare atto ai consigli comunali dei cinque Comuni di aver avuto coraggio e lungimiranza nell’intraprendere questa strada, ma poi quando si arriva al sodo, cioè al momento di passare dalle parole ai fatti ecco le resistenze, i rifiuti e forse anche le paure. Allora, va riconosciuto a questo fazzoletto di terra dell’alto Orvietano di essersi reso protagonista di un disegno che non può cancellare le individualità ma le può soltanto arricchire, irrobustire.
Perché si tratta di un progetto di razionalizzazione e di semplificazione, perché spesso e volentieri sommare le debolezze significa conquistare forza, perché vuol dire mettere a sistema servizi e risorse per un migliore e più efficiente funzionamento della macchina amministrativa. Lo slogan piccolo è bello non è più vincente soprattutto quando le casse languono. Diventare un unico Comune non significa contare di meno, ma al contrario pesare di più. Per garantire uno sviluppo, per dare ossigeno all’economia, per non far morire i centri storici, per dare un futuro ai giovani. Insomma sulla bilancia ci sono più argomenti per votare sì alla fusione che chiudersi a riccio nei propri borghi e conservare l’esistente. L’attenzione e l’impegno devono essere quelli di non cancellare le radici e il passato di ognuno dei cinque Comuni (Fabro, Ficulle, Monteleone di Orvieto, Montegabbione, Parrano) ma metterli a disposizione, fare rete con gli altri territori. L’aspetto positivo è che questa autoriforma è partita dal basso, dai consigli comunali e con un percorso di partecipazione si vuole raccogliere il parere dei cittadini. Ed è un esperimento pilota che segna l’inizio di una nuova fase del regionalismo. Insomma in tempi di ristrettezze economiche e di mutamenti sociali l’unica via nel segno di un mondo che cambia, e cambia radicalmente, è proprio questa. Non ce ne sono altre. E il discorso un domani prossimo può essere allargato al superamento di altre barriere, di altri confini. Come pensare di mettere le gambe all’Italia di centro o l’Italia di mezzo in un’ottica in cui si stanno svuotando le Province e si va verso l’abolizione il passo successivo potrebbe essere veramente la costruzione di una maxi area che unisca l’Umbria, la Toscana, le Marche, tanto per cominciare. Territori che hanno affinità e non solo di vicinanza geografica, che solo unendo le proprie economie possono inventarsi una legittimità e rappresentanza più forte e più consistente. Da soli non si va da nessuna parte, si vivacchia e basta, cercando di difendere le rendite di posizione ma con il rischio invece di non sopravvivere a lungo. Tornando a oggi, come ha scritto il professor Mario Morcellini dell’università La Sapienza di Roma su queste colonne, il referendum rappresenta un messaggio importante pensando soprattutto al giorno dopo l’esito del referendum. E cioè l’agenda da scrivere in un caso o nell’altro.
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