martedì 18 giugno 2013

Aziende uccise da tasse e burocrazia

Editoriale Radio Onda Libera del 10 giugno 2013

La burocrazia uccide le aziende. Non è un’esagerazione, è purtroppo la verità soprattutto di questi tempi. In cinque anni sono state introdotte ben 288 nuove norme fiscali. La pressione tributaria per le imprese è al 63,8 per cento, allo Stato vengono versati 1,7 milioni al minuto di tasse. La pressione burocratica ha lo stesso ritmo di crescita della pressione fiscale, raggiungendo il 44,6 per cento. Questi dati sono stati forniti da uno studio della Confartigianato.

Come uno specchio a queste cifre che sono incredibili ci sono le promesse dei governi che si sono succeduti. Non c’è stato un politico o un ministro che non abbia parlato di semplificazione, di alleggerire la burocrazia, l’ultima è del ministro in carica Giovannini che bisogna fare un’operazione di semplificazione molto forte che deve vedere la luce in tempi brevissimi.
Ci vuole meno fisco, meno burocrazia, più credito, servizi pubblici efficienti. Se muoiono le imprese, muore il Paese, dice Giorgio Merletti, presidente della Confartigianato.
A proposito delle tasse, quella sui rifiuti, per esempio, recentemente inasprita con l'introduzione della Tares; negli ultimi dodici anni le imposte sulla spazzatura hanno mostrato una progressione del 76,3 per cento. Su alcune categorie di imprese, poi, l'impatto della Tares è pesantissimo, con aumenti dell'imposta sui rifiuti che arrivano fino al 301,1 per cento.
Ma perché il Paese non riesce a fare qualcosa di serio per abbassare il livello della burocrazia prima e il peso fiscale di conseguenza? Si dice che la nostra spesa pubblica sia in larga misura "incomprimibile", cioè non può essere contenuta, ridotta. Eppure la strada per risparmio, per diminuire gli sprechi, ci sarebbe eccome ed è anche semplice, elementare. Basta per esempio allineare tra le venti Regioni i moduli di spesa per qualche voce, le retribuzioni dei dipendenti, le forniture simili, i costi che si possono paragonare e mettere sullo stesso piano. Già questo farebbe risparmiare qualcosa come oltre 20 miliardi di euro.
Una strada, questa, che basta poco anche per attuarla, basta che durante la Conferenza Stato-Regioni ci si metta d’accordo e si passi ai fatti. Del resto non si capisce perché un dipendente pubblico a Cosenza prenda uno stipendio e a Verona un altro. Oppure per comprare una fornitura di cancelleria per gli uffici la Lombardia si spenda una cifra e la Puglia un’altra. Prendere ad esempio le voci delle regioni virtuose e farle proprie sarebbe un comportamento di buon senso. Che difetta, purtroppo, parecchio di questi tempi.

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