domenica 16 dicembre 2012

Primarie, un esempio
La forza della finanza

Il punto del direttore del 16 dicembre 2012

Questa volta gli spunti su cui imbastire qualche ragionamento sono parecchi. E vanno dalla politica all'economia, e anche al legame tra le due.
Tra pochi giorni cadrà, come annunciato, il governo e a febbraio, probabilmente il 17, si andrà al voto. I tempi sono strettissimi, anzi di più. Le forze politiche sono afflitte da una profonda fibrillazione e hanno aperto i cantieri in cui i lavori proseguono 24 ore su 24.
Tra chi pensa alle primarie, chi si sta muovendo per una nuova formazione, chi cerca di ricollocarsi, chi aspetta fino all’ultimo secondo prima di schierarsi e prendere una strada. In ballo ci sono i posti in Parlamento, mica bazzecole. E a seguire per effetto gli eventuali rimpasti nelle istituzioni se qualche amministratore opta per una candidatura alle politiche.
Insomma la posta in palio merita attenzione. Vale la pena quindi partire con il capitolo primarie del Pd. Bersani l’aveva promesso e vuole mantenere la parola: se non si cambia il porcellum, e ormai non si cambia, faremo le primarie per i candidati al Parlamento. Detto fatto, primarie siano il 30 dicembre (la data dovrebbe essere questa anche se ci sono richieste per spostarle di una settimana). Domani a Roma si limeranno le regole e per la prima volta in assoluto i cittadini potranno scegliere da chi farsi rappresentare. In Umbria la corsa è per 16 posti in tutto (9 alla Camera e 7 al Senato), si farà un listone composto da 32 nomi, il doppio degli aspiranti candidati. Le novità di questa competizione, che è comunque un segno di coerenza e di democrazia, sono almeno due.
La prima è che non mancheranno i catapultati da Roma, la “riserva indiana” che gestisce il partito a livello centrale, e a di là delle identità a destare perplessità è il criterio adottato. Perché non solo in questa legislatura e non solo dalle parti del centrosinistra sono stati fatti eleggere personaggi che con l’Umbria non c’azzeccano nulla, direbbe Di Pietro, nel senso che arrivano giusto il tempo per farsi qualche giro durante la campagna elettorale, prendono i voti e scappano, anzi salutano e non tornano più. Gli ultimi esempi rigorosamente bipartisan? Il senatore Rutelli per il centrosinistra e l’onorevole Speciale per il centrodestra. Ribadito quindi che sarebbe meglio non catapultare nessuno e da nessuna parte perché vanificherebbe l’essenza delle primarie, va detto che nonostante l’immane sforzo organizzativo questo strumento ha ottenuto e otterrà l’effetto (positivo) di riavvicinare la gente alla politica. Un risultato di tutto rispetto di questi tempi dove soffia forte il vento dell’antipolitica.
La seconda novità si chiama deroga ed è il placet che devono ottenere per potersi candidare coloro che hanno superato i 15 anni di mandato parlamentare e coloro che ricoprono incarichi nelle istituzioni, e cioè sindaci, assessori e consiglieri. Da Roma fanno sapere che l’orientamento è di concedere poche, pochissime deroghe, quindi i tanti aspiranti, dai primi cittadini al secondo mandato agli assessori vogliosi di cambiare aria, dovranno mettersi l’anima in pace. A parte l’istituto della deroga che se concessa può essere interpretata come un modo per salvare i “dinosauri” della politica e quindi è giusto che se ne faccia un uso contenuto, sarebbe meglio prevedere per tutti i partiti una sorta di pagelle, di rendiconto della produttività dei parlamentari nell’arco della legislatura. Ma questo merita un altro spazio, un’altra puntata. Due righe, due, su quello che sta succedendo nel fronte opposto, dentro il centrodestra il cui azionista di maggioranza, il Pdl, si sta spacchettando in diversi rivoli, come il partito dei montiani, il movimento di quelli che appoggiano la Meloni e la formazione che si rifà a La Russa-Gasparri. Oggi per questi è la giornata decisiva perché si saprà se si costituiranno le liste, se ci saranno le scissioni e via dicendo. Ovviamente dall’esito delle riunioni e dalle eventuali decisioni dipenderà il posizionamento dei parlamentari uscenti umbri.
Passando all’economia hanno fatto discutere le nomine a Gepafin, la finanziaria regionale. Perché il metodo nella scelta del nuovo management non è stato gradito da tutti. A bocciarlo addirittura la Confindustria che non ne fa una questione di nomi bensì di idee e programmi. Attraverso il presidente Bernardini, gli industriali umbri rivendicano il diritto di capire e di conoscere visto che si parla di una struttura che dovrebbe favorire lo sviluppo delle imprese. Ora al di là di tutto, c’è anche un altro aspetto da non sottovalutare ed è l’intreccio tra economia e politica perché il consiglio di amministrazione della Gepafin comunque viene scelto su indicazione della seconda. Ma oltre a questo e visti i vertici c’è anche un ulteriore aspetto ed è lo strapotere della finanza sulla politica, nel senso che per statuto il cda di Gepafin è composto da 5 membri dei quali 3 sono designati dalla Regione considerata la maggioranza partecipativa nella società e 2 dai soci privati, le banche. Cosa è successo? Formalmente tutto regolare. Nel merito la Regione ha designato uno dei propri rappresentanti, con funzione di presidente del cda, un soggetto (niente da ridire ovviamente sulla persona) che già sedeva nel consiglio precedente con funzione di vicepresidente su designazione di un gruppo bancario. Insomma in soldoni le banche si sono nominate i propri uomini (2) e se ne sono fatti nominare uno dalla Regione, ottenendo così il governo della società. Ovviamente la critica è solo sul profilo dell’opportunità. Il sospetto però è che le banche abbiano fatto la parte del leone e la politica quella della pecora. Altro che rinnovamento, altro che cambio di mentalità…
anna.mossuto@edib.it
www.annamossuto.it

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