domenica 26 luglio 2015

Università e la misura
del cambiamento

Il punto del direttore del 26 luglio 2015

Le classifiche delle università sono come i sondaggi politici. Uno strumento di cui bearsi o rammaricarsi, a seconda se il piazzamento è ai vertici o in fondo alla graduatoria. Ovviamente il sentimento di reazione si riferisce alla governance che si sente messa sott’accusa quando i numeri sono implacabili e si gonfia di orgoglio quando, sempre i numeri, sono lodevoli. C’è anche un altro, più nascosto, duplice atteggiamento che esplode in relazione alla pagella a seconda se è positiva o negativa.
Il primo, questo molto comune alla classe politica, è il retroscenismo tipo chi ha pilotato gli indicatori, come mai soggetti autorevoli ci vogliono male, da chi sono telecomandati e via discorrendo. Il secondo invece è di rivalsa nei confronti di presunti gufi e presunti nemici dello studium, con brindisi immaginari e forse anche qualche gesto dell’ombrello. Ora, dopo questa premessa, entriamo nel merito. Il Sole 24 ore posiziona l’università di Perugia verso il fondo classifica in buona compagnia degli atenei del sud d’Italia, facendola calare dal 32esimo posto al 37esimo su 61 posizioni. Secondo il giornale di Confindustria a difettare sono la didattica e la ricerca, ottima la voce borse di studio (ma questa appartiene all’Adisu che ha proprio la funzione di erogare servizi agli studenti). A distanza di pochi giorni ecco sfornata un’altra classifica, questa volta curata dal Censis per la Repubblica. E in questa Perugia guida l’elenco delle università grandi italiane e si piazza tra le prime dieci a livello generale, riscuotendo quindi un avanzamento notevole. Ora il lettore è quanto meno disorientato e si pone qualche domanda. Ma come secondo il maggior giornale economico italiano siamo da serie B, secondo l’istituto che lavora per il quotidiano di De Benedetti siamo tra gli atenei migliori?. L’università di Perugia dove sta veramente? E cosa è cambiato da quasi due anni a questa parte, da quando cioè è iniziata l’era Moriconi?  Sui dati e sulle classifiche meglio soffermarsi poco perché altrimenti saremo bombardati da numeri, cifre, indicatori, variabili e ranking e il peso dell’università di Perugia diventerebbe un elastico, da tirare a seconda delle convenienze, e rischieremo di far diventare Palazzo Murena come Cambridge o come un ateneo del terzo mondo. Ma due-tre cose le vogliamo dire in quest’estate che invita ad aprire gli ombrelloni anziché riflettere sul futuro dello studium di casa nostra. Solo per offrire un contributo, un parere, senza alcuna presunzione, perché convinti che l’università sia la prima "fabbrica" culturale di questa regione e che un suo declassamento o un suo impoverimento sia dannoso per la comunità. Una volta Perugia aveva un appeal notevole, una grande capacità attrattiva, sia per l’eccellenza della didattica delle varie facoltà sia per le condizioni generali di vivibilità della città e dei servizi riservati agli studenti. Qualcosa è cambiato, perfino un marziano se ne renderebbe conto e per varie cause (la crisi, la percezione della mancanza di sicurezza, l’aumento dell’offerta delle altre università) e senza mettere in croce nessuno ci permettiamo di aprire una parentesi e dire che l’atteggiamento più sbagliato in qualsiasi analisi sullo stato di salute del nostro ateneo è quello di scaricare interamente le colpe e le responsabilità sul passato e sulle vecchie gestioni. Perché l’attuale governance non è nata sotto un cavolfiore, c’era prima in incarichi diversi e c’è adesso ricoprendo altri incarichi. Ergo, si cerchi per il bene dell’università in primis, per il bene di Perugia e della regione di tenere bene in mente, 24 ore su 24, che il cambiamento si misura soltanto con un numero ed è quello degli iscritti. Possiamo stilare tutte le classiche che vogliamo, festeggiare o incazzarci, ma quello che conta per un ateneo è il numero degli utenti o se volete dei "clienti", vale a dire gli studenti che scelgono di iscriversi qui o altrove. E i giovani scelgono Perugia se Perugia garantisce un’offerta formativa all’altezza, altrimenti la concorrenza è così spietata che le aule per esempio di Siena saranno sempre stracolme. Vanno bene tutte le altre "invenzioni" che abbiamo visto in questi mesi, e cioè le convenzioni sanitarie (a nostro avviso una trovata perché da quando esiste il servizio sanitario, da quarant’anni a questa parte l’assistenza è stata sempre garantita), i protocolli a iosa come ad esempio quelli per gli affitti agevolati, ma ci permettiamo di sostenere che un’università si distingue, e scala o retrocede posizioni, solo se non tradisce la sua mission, che si racchiude in tre parole, che non sono sole cuore e amore, ma didattica, ricerca e orientamento. Ovviamente quanto scritto, è solo la nostra opinione. E così è (se vi pare).
anna.mossuto@gruppocorriere.it
www.annamossuto.it

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