lunedì 28 luglio 2014

Ast, la solidarietà da sola non basta

Il punto del direttore del 27 luglio 2014

I tempi non sono belli, la ripresa non è a portata di orizzonte. Affidarsi a indagini ottimistiche serve solo a risollevare momentaneamente il morale. Poi i numeri, quelli che contano per chi fa impresa, sono impietosi e obbligano a stare con i piedi per terra.
Questa premessa per introdurre qualche riflessione sulla situazione che sta vivendo la ThyssenKrupp, la prima azienda della regione, la fabbrica per antonomasia, l’Acciaieria con la maiuscola. Qui è stato presentato un piano industriale lacrime e sangue, risparmi per 100 milioni e 550 esuberi. Un lessico più o meno elegante per dire che si taglia il lavoro e si mandano a casa 550 dipendenti, quasi un quarto dei 2.800 che ricevono la busta paga.


Questo piano è un colpo durissimo che mette in ginocchio un’economia già profondamente in crisi, inferto al cuore di una regione che da qualche tempo arranca non poco per mantenersi a galla.
Il primo elemento da sottolineare con forza, e per la verità da più parti ribadito in questi giorni, è che la crisi della ThyssenKrupp non riguarda solo Terni ma l’intero territorio, l'Umbria intera. Perché, e lo ricordiamo con un numero, questa fabbrica rappresenta da sola il 20 per cento del prodotto interno lordo.
Quindi giustissima la reazione dei sindacati, delle istituzioni tutte, da Perugia in primis, di rispedire al mittente, alla Germania, il piano e chiedere l'intervento immediato del governo.

Bene la presidente della Regione Marini che è ricorsa a parole pesanti per esaltare l’orgoglio ferito di una comunità presa a schiaffi da una politica industriale sulla siderurgia che senza una strategia coerente e chiara decide il bello e il cattivo tempo sulla pelle dei lavoratori. La mobilitazione c’è stata e continua a esserci, le azioni di lotta anche con la risposta forte delle rappresentanze sindacali già all'indomani della presentazione del piano. Si stanno susseguendo gli incontri con i parlamentari della regione con le forze politiche e sociali, perché tutti all’unisono dicano la stessa e identica cosa, e cioè che la fabbrica di Terni non può essere impoverita. All’appello manca soltanto il documento dei consiglieri regionali che nelle prossime ore dovrebbe essere partorito (in alcune occasioni la tempestività è apprezzata, del resto mica si tratta di stendere un trattato!).
Il secondo aspetto che va rimarcato è che il caso Terni va inquadrato e affrontato a livello nazionale ed europeo perché si tratta di una multinazionale che produce siderurgia e il sito in Umbria non è ininfluente rispetto all’economia complessiva. Insomma è comprensibile la solidarietà, opportuna la mobilitazione ma il tavolo per trattare la vertenza deve essere convocato in altre sedi. Da centotrenta anni l’azienda di viale Brin ricopre un ruolo fondamentale nella produzione di acciaio speciale e questo non è un dettaglio. E se tutto questo è vero, come è vero, l’unica richiesta che deve essere formulata dall’Umbria con energia e intelligenza è quella di inchiodare la politica romana e quella di Bruxelles a caricarsi sulle spalle la fabbrica di Terni, prendersi a cuore la questione della ThyssenKrupp. Il rischio di non percorrere questa strada è atroce per le migliaia di persone che per anni hanno costruito il loro futuro grazie all’Acciaieria che non era soltanto un luogo di lavoro ma anche di sviluppo e di dignità.
La preoccupazione e la disperazione che si leggono nei volti degli operai sono evidenti e toccano le corde dei sentimenti, ma non basta la vicinanza, quella è scontata, serve la molla dell’indignazione e della compattezza perché non ci possiamo permettere di perdere la Thyssen.
Un terzo elemento, ma terzo in ordine di importanza, è quello di capire il percorso che ha portato l’Ast fino a questo punto, una serie di interrogativi destinati a restare senza risposta. Non era forse un tragitto prevedibile? Non ci sono forse responsabilità politiche di chi ha chiuso gli occhi facendo finta di non vedere quello che si stava profilando? Non ci si poteva forse svegliare prima e pretendere dall’azienda tedesca quando ha prima messo in vendita e poi ricomprato la struttura un piano completo di investimenti? Insomma questa situazione non è calata dall’alto o arrivata come un fulmine a ciel sereno. Chi sostiene il contrario è in malafede o a corto di argomenti.
Ma non è il momento di recriminazioni o di analisi sulle cause. Oggi la battaglia è salvare la fabbrica di Terni, la fabbrica dell'Umbria.
anna.mossuto@gruppocorriere.it
www.annamossuto.it

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