domenica 28 dicembre 2014

Il destino dell’Umbria:
la Regione che verrà

Il punto del direttore del 28 dicembre 2014

A fine anno, è consuetudine, si fanno i bilanci e si guarda al futuro. Mai come in questo scampolo di dicembre ci accompagna l’incertezza e si fa una grande fatica ad armarsi di speranza. Non solo per lo status quo, per la crisi economica che pare non allentare i suoi morsi ma anche per le prospettive che solo i più ottimisti vedono tingersi di un altro colore che non sia il nero.

Anche la politica vive una fase di indeterminatezza legata soprattutto ai partiti che non sono stati capaci di rinnovarsi e cambiare pelle ma anche alle mancate risposte alle comunità che in preda a sfiducia e disinteresse al momento del voto si rifugiano sempre di più nell’astensionismo. Il disorientamento appartiene anche all’assetto istituzionale, a un nuovo modello che va costruito con lungimiranza, coraggio e realismo, in particolare dopo la riforma delle Province che ha creato un organismo anomalo senza le funzioni di prima e con i dipendenti allo sbando perché non si sa dove e come collocarli. La verità è che una certa architettura istituzionale non funziona più e non si regge per i costi. In alcuni casi si sono allestiti carrozzoni mastodontici che “camminano” come tartarughe e consumano come animali voraci. In questo senso si avvicina la “fine” perfino delle Regioni, nate oltre 40 anni fa e disegnate su confini vecchi di altri 30 anni. Insomma ha ripreso vigore il dibattito sull’accorpamento di territori anche se per onestà va detto che si tratta di un tema che al punto tale da aver promosso convegni ad hoc e costituito perfino stati generali. Perché da almeno un ventennio si fantastica su come ridisegnare i confini delle Regioni e si parla, per quanto ci riguarda, di Italia di mezzo, Italia mediana, Centralia, per individuare una macro-area che unisca Umbria, Toscana e Marche in primis. Poi c’è chi vorrebbe inglobare pure l’Emilia Romagna e chi anche il Lazio e l’Abruzzo.
Negli ultimi tempi l’argomento è tornato d’attualità con la proposta lanciata dal sindaco di Pesaro Matteo Ricci che vede bene la fusione tra Umbria e Marche. Proposta che ha anticipato di qualche giorno il progetto di Roberto Morassut, pure lui piddino, che ha previsto la riduzione delle Regioni da20 a 12. E l’Umbria che fine farebbe? Secondo questo schema sarebbe accorpata con la Toscana e la provincia di Viterbo.
Tutto ovviamente è a livello di idee e discussioni, ma la percezione è che prima o poi, forse più prima che poi, la fisionomia delle Regioni cambierà. Perché questo assetto, anacronistico e pesante, va rivisto se si vuole continuare a vivere. A maggior ragione il discorso vale per l’Umbria, una piccola terra, che con i tagli annunciati e la crescita bloccata rischia di non avere più i numeri per essere autosufficiente, per sopravvivere. E allora, se ieri pensare a una grande regione composta da più regioni poteva essere una scelta coraggiosa e di progettualità, oggi si tratta di una necessità, di orizzonte corto. Quindi il destino dell’Umbria pare segnato, l’importante però è mettere una serie di paletti per non farsi travolgere da un processo che andrebbe invece governato nell’interesse dei cittadini e quindi del bene comune. Innanzi tutto non venga smembrata l’identità del territorio, che una regione non sia fagocitata da un’altra, che si lavori da subito per accomunare servizi e funzioni, che l’unione diventi una forza e non la somma di debolezze.
Insomma il quinquennio 2015-2020 potrebbe essere quello che in un certo senso “liquida” l’Umbria e segna un’altra epoca. Che si chiami Italia di mezzo oppure Regione Appenninica, o anche Pasqualina, non ha importanza. Quello che conta è che sia migliore, che le città siano sicure e a misura d’uomo, che le fabbriche non chiudano, che il lavoro non manchi, che i servizi siano efficienti e di qualità, che le tasse non siano esagerate… E con la speranza di un nuovo modello anche l'augurio di buon anno a tutti.
anna.mossuto@gruppocorriere.it
www.annamossuto.it

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