Il punto del direttore del 29 aprile 2012
In politica
il doppio mandato è il riconoscimento del lavoro svolto e quindi la riconferma
in un ruolo. Ma appena smaltita la gioia per la rielezione, ecco comparire la
sindrome che colpisce più o meno tutti i sindaci, i presidenti delle Province,
i presidenti delle Regioni e in genere coloro il cui incarico è vincolato o per
legge o per statuto. La sindrome consiste di solito in un insieme di segni tipo
insofferenza, timore per il futuro e soprattutto ricerca spasmodica di sponsor
presso cui accreditarsi in cambio di una promessa di una poltrona o di un
avanzamento di carriera.
A risentirne
ovviamente è la cittadinanza che, per esempio a Spello, si sente meno seguita,
meno ascoltata, meno partecipe. Il primo cittadino Sandro Vitali appare più
lontano dai problemi della gente, almeno questo è quello che si raccoglie per i
vicoli della splendidissima, e tutti addebitano questa lontananza alla sindrome
del secondo mandato. Come se la “macchina” procedesse per forza di inerzia
sull’onda lunga di quanto seminato nel primo quinquennio, senza alcuno stimolo
nuovo, senza alcun impulso progettuale.
Poi c’è
qualche sindaco che invece tiene la scena politica come un grande attore e nel
pieno del secondo mandato si inventa perfino un rimpasto. E’ successo a
Umbertide dove Gianpiero Giulietti a un certo punto si è accorto di non avere
più fiducia nel suo assessore al bilancio e l’ha silurato. Nulla quaestio
direbbero i latini. Tranne che l’“agnello” –Villarini in questione non è stato
sacrificato per manifesta incapacità durante l’esercizio del suo assessorato.
No, è stato fatto fuori perché non è più “amico”, sempre dal punto di vista
politico, del sindaco, perché magari si è permesso di seguire qualche
manifestazione dello stesso partito del sindaco (cosa ci starebbe di strano,
non è dato capire ai più) o perché forse deve pagare la frequentazione con
qualche nemico altotiberino. Un meccanismo perverso, assolutamente complicato,
speriamo solo per il bene della città e delle casse del Comune che il sostituto
di Villarini sia all’altezza del predecessore. Altrimenti sarebbe un autentico
e banalissimo regolamento di conti, senza togliere al sindaco Giulietti la libertà di
scegliersi gli assessori che vuole e di cui si fida. Certo, anche nella vecchia
Fratta si ragiona su che cosa c’è dietro l’angolo, cioè dopo il 2014. E le
ipotesi sono tante, la più in auge è quella di imboccare una strada diretta a
un palazzo del capoluogo.
Ma al di là
degli eccessivi nervosismi, il panorama politico è in un’evoluzione pazzesca
per cui gli scenari che si disegnano oggi possono valere qualche ora, qualche
settimana o anche finire subito carta straccia in un cestino delle utopie.
Chi non è
stato ancora colto dalla sindrome del secondo mandato, e forse non lo sarà mai,
è il sindaco di Assisi Claudio Ricci che, ripremiato al primo turno senza
neppure passare per il ballottaggio, lavora come e più di prima, inventandosi
iniziative, partecipando a manifestazioni, presenziando inaugurazioni. E
soprattutto impegnandosi con un progetto che è la carta vincente di questa
terra, vale a dire il turismo religioso. Ricci è convinto, a ragione, che
avviando sinergie con le altre località famose dal punto di vista religioso e
culturale Assisi e l’Umbria ne beneficieranno alla grande sia come meta di
pellegrinaggio che come punto di
partenza sfruttando al massimo e facendo veramente decollare l’aeroporto che
porta il nome del Poverello. Ne è una dimostrazione il ponte, il legame con la
Bosnia, e precisamente con Mostar-Medjugorje, operativo entro l’estate, ma
anche quello issato con Santiago di Compostela che vedrà la sua nascita a
ottobre prossimo.
Insomma il
sindaco di Assisi non ha nessuna intenzione di farsi cogliere dalla sindrome di cui sopra. Se
questo significa impegnarsi e fare l’interesse della comunità, allora Ricci
merita il massimo dell’apprezzamento e anche di realizzare le sue ambizioni
politiche.
Al
contrario, chi è afflitto dalla sindrome può tranquillamente farsi da parte,
anche anzitempo. Non si capisce il
perché chi fa il politico non debba, alla fine del suo mandato, tornare a fare
il lavoro che faceva prima. Del resto la politica dovrebbe essere passione, non
un’occupazione sine die.
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