martedì 9 giugno 2015

Le urne hanno parlato:
o si cambia o si muore

Il punto del direttore del 7 giugno 2015

Archiviata l’abbuffata di numeri e percentuali, la politica si rimette in movimento. E riappaiono nel dibattito le polemiche e soprattutto le divisioni. Appena sette giorni fa il voto con tutto quello che ha comportato. Facciamo un riassunto: la più bassa affluenza mai registrata, appena un umbro su due è andato alle urne, segno di un distacco e indifferenza; la vittoria con il brivido e di misura del centrosinistra con la riconferma della presidente uscente Catiuscia Marini; il Pd, forza di maggioranza della maggioranza, che ha sciupato un capitale di centomila voti in un anno rispetto alle europee; il sorpasso mancato del centrodestra che visti i tre punti e mezzo di distacco per un po’ ci ha sperato; il trionfo della Lega Nord che si impone come il primo partito della coalizione e se non ci fosse stato quel 14 per cento Claudio Ricci avrebbe intercettato solo un quarto dell’elettorato; l’insuccesso totale di Forza Italia sempre più attraversata dai veleni; l’affermazione del Movimento 5 Stelle che resta il secondo partito della regione.
Ecco questo in sintesi il quadro che ci è stato consegnato per il prossimo quinquennio. Sarebbe opportuno oltre che salutare che i partiti, tutti nessuno escluso, si prendano qualche ora di tempo per riflettere seriamente sulle ragioni della vittoria e della sconfitta, oltre che dell’astensionismo. Perché i messaggi che sono stati lasciati nelle urne sono chiari e lapalissiani. Innanzi tutto il risultato. Non ci sono più rendite di posizioni neanche nella nostra regione considerata da sempre rossa perché roccaforte della sinistra. Il 42,78 contro il 39,42 testimonia che la forbice è stretta, che il ribaltone è a portata di mano, che l’elettorato è mobile. Insomma il verdetto è un avvertimento. O si cambia o si muore, politicamente inteso. Innanzi tutto ai vincitori, in primis alla presidente Marini, che ha davanti a sé due strade: continuare secondo le vecchie logiche, manuale Cencelli in mano, accontentando tizio e caio oppure scegliere con convinzione la discontinuità e il rinnovamento senza lasciarsi imprigionare dai diktat dei partiti, neppure dal suo suo visto la debolezza in cui si ritrova, e preferire il criterio della competenza. Una squadra forte rafforza il suo ruolo e la sua azione, e soprattutto può fare il bene di questa regione. Ovviamente deve tener conto della top ten degli eletti che sono lo specchio della rappresentanza, e questo aspetto ci consegna un solo vincitore, l’area che fa riferimento al sottosegretario Bocci che in queste elezioni ha combinato un bel poker. Quattro su dieci sono un’ipoteca sulla maggioranza. Eh sì, perché ci sono quelli che hanno vinto e quelli che hanno stravinto, i bocciani sono i secondi. Poi a perdere ci sono alcuni territori, vedi Spoleto, alcuni consiglieri (restiamo dell’idea che il segretario regionale Leonelli non abbia brillato con il suo settimo posto), alcuni segmenti intermedi come la Cgil e altre amenità simili. Tornando alla giunta che verrà, l’auspicio è che non manchi il coraggio. Per esempio nella scelta degli assessori, ben vengano gli esterni se rispondono a meriti e qualità, meglio non far dimettere i consiglieri chiamati a far parte dell’esecutivo anche per una ragione di risparmio dei soldi pubblici evitando di pagare altri stipendi a coloro che bocciati dalle urne rientrano lo stesso in consiglio. Ecco, questo sarebbe un bel segnale nei confronti della gente, del resto i ministri non si dimettono da parlamentari, quindi con un po’ di impegno in più al servizio della comunità il lavoro non sarebbe proibitivo. Un altro segnale sarebbe quello di rinnovamento vero e non di facciata, è vero che cinque posti in giunta sono pochi ma proprio per questo sarebbe sacrosanto affidarsi ad assessori capaci e non a figurine che hanno il ruolo di comparse o peggio di yesmen o yeswomen. Insomma il rinnovamento si pratica non si invoca solo a parole, come stanno facendo un po’ tutti a commento del risultato elettorale. E il rinnovamento passa per gli uomini ma anche per idee. Altrimenti il tutto si riduce solo a slogan e twittate che possono colpire, divertire o far sorridere ma poi lasciano il tempo che trovano e soprattutto non caratterizzano una buona o cattiva amministrazione. Accantonate queste raccomandazioni alla maggioranza, passiamo al centrodestra che è un pentolone in ebollizione con accuse manco tante velate rivolte addirittura al sindaco di Perugia Romizi che avrebbe appoggiato Fratelli d’Italia anziché i candidati del suo partito Forza Italia. E accuse perfino all’onorevole Pietro Laffranco che in campagna elettorale è stato latitante per le note spaccature e i noti disaccordi con i vertici regionali del partito. I berlusconiani sono stati quelli più puniti dal voto, nonostante l’arrivo del loro leader in pompa magna, nonostante l’illusione di aver vinto secondo gli exit poll e le proiezioni per qualche ora. La minoranza in questa regione sempre meno rossa è diventata molto meno azzurra e molto più verde grazie all’imposizione della Lega. Il miglior perdente Ricci ha assicurato nel suo stile francescano che farà un’opposizione forte, chiara e costruttiva. Toccherà vedere in quanti lo seguiranno, dal momento che un paio di partiti chiamiamoli così estremisti come la Lega e i grillini contano parecchio, rappresentando la metà degli otto della minoranza. Anzi la Lega ha già fatto sapere che non farà un’opposizione consociativa come è successo fino a ieri. Quindi, la Marini e anche Ricci sono avvisati. In conclusione un dato va sottolineato e pure con forza. In consiglio regionale siederanno tante facce nuove, il rinnovamento è andato a segno per oltre la metà dei venti eletti. Un bel colpo, una bella operazione di svecchiamento, non c’è che dire. Anche se la buona politica non è tale se a farla sono i giovani. Meglio tanti vecchi capaci che tanti giovani incapaci. Il rinnovamento non può essere solo anagrafico e qui torniamo ai concetti di cui sopra.
anna.mossuto@gruppocorriere.it
www.annamossuto.it

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