L'analisi del direttore del 2 giugno 2015
Una vittoria di misura, sofferta e anche piccola. L’Umbria si ritrova meno rossa di prima, di ieri, ed è sbocciato alla grande il colore verde. Catiuscia Marini è stata riconfermata presidente della Regione con il 42,78 per cento dei voti, tre punti abbondanti in più rispetto allo sfidante Claudio Ricci che si è fermato al 39,27. Dopo una nottata al cardiopalma con un testa a testa da brividi tra i due candidati appaiati secondo exit poll e proiezioni, testa a testa che ha conquistato la ribalta nazionale, ipotizzando addirittura il ribaltone in una regione che è stata in bilico per qualche ora. Pericolo scongiurato quindi per il centrosinistra che vince sì ma non stravince e continuerà a guidare Palazzo Donini per il prossimo quinquennio mentre l’opposizione si dividerà tra il centrodestra, che ha sperato, sempre per qualche ora, in un miracolo, e il Movimento 5 Stelle.
Di sicuro questo voto trascina con sé diverse considerazioni, diverse letture. La prima, fra tutte, l’affluenza al voto che è stata del 55,42 per cento e ha registrato un paio di punti percentuali in più rispetto alla media nazionale, ma ben poca cosa rispetto al dato delle europee dell’anno scorso, quindici punti in meno, e a quello delle regionali di cinque anni fa con dieci punti in meno. In pratica ha votato quasi un umbro su due, 391mila su 705mila elettori, a conferma che certa politica non appassiona più e che l’astensionismo è un partito vivo e vegeto. Un elemento questo della partecipazione su cui bisognerebbe aprire una riflessione.
La seconda considerazione comporta un giudizio complessivo sul risultato. Il centrosinistra, pur con qualche pezzo di sinistra in meno, è riuscito con fatica a imporsi di fronte a un centrodestra compatto e unito come non mai. Non più la maggioranza bulgara di una volta, ma una forbice stretta che ha fatto presagire anche il peggio. Tre punti di differenza sono una bazzecola per una regione che è ormai diventata contendibile, nel pieno rispetto dei pronostici della vigilia. E’ vero che ogni elezione è una storia a sé, che ogni consultazione racconta un percorso e raccoglie quanto seminato, ma questa volta non tutto è filato liscio per il centrosinistra terrorizzato anche di quanto accaduto un anno fa, la debacle di Perugia tanto per intenderci. Guai ad arroccarsi dentro la torre d’avorio anche soltanto per esorcizzare o cercare di dimenticare la paura vissuta, i numeri e i segnali sono implacabili e parlano chiaro e soprattutto parlano il linguaggio della verità.
La vittoria c’è stata e su questo non ci sono dubbi, ma è stata una vittoria debole che potrebbe covare un’aspirazione di questa terra al cambiamento, a un qualsiasi cambiamento.
E ora un focus sui dati. Rispetto a cinque anni fa circa 75mila elettori hanno disertato le urne. La presidente Marini non si è ritrovata quest’anno qualcosa come un centinaio di migliaia di voti assoluti, Ricci ha riportato meno ventimila rispetto al candidato della sua coalizione del 2010. Va però detto che in questa tornata i candidati a presidenti erano 8 contro i 3 di cinque anni fa, le liste oggi 16 e ieri 8. Insomma un quadro molto più frammentato che ha comportato anche uno spezzettamento del consenso verso formazioni che hanno avuto il ruolo di comparsa, non riuscendo a raggiungere neppure l’uno per cento.
La somma delle liste ha ottenuto meno voti dei candidati a presidente: la coalizione di centrosinistra 152.159 voti (la presidente 7mila in più), quella di centrodestra 135.594 (quasi 9mila in più il candidato a presidente), il Movimento 5 stelle 51.203 mentre il candidato duemila in più. E questo è valso, ovviamente in misura diversa, per tutti gli aspiranti governatori.
Ancora una considerazione ma prima è doveroso fare una premessa: che i voti prima si contano ma poi si pesano, quindi il tema è il rapporto di forza, di equilibrio tra le varie componenti.
Partiamo dal centrosinistra con il Pd, primo partito, che ha portato a casa 10 seggi. Ma ha perso per strada il capitale (quasi il 50 per cento) di un anno fa. E qui le sorprese non sono mancate, anzi. Spulciando i nomi degli eletti alcuni elementi sono evidenti: il primo da sottolineare con evidenza è che l’area dell’ex Margherita ha fatto il colpaccio con 4 consiglieri (Porzi, Barberini, Brega e Smacchi); il secondo è che il segretario regionale del partito è arrivato settimo nonostante la mobilitazione di ministri, sottosegretari e compagnia bella; il terzo è che la Cgil non comanda più di tanto visto che non è riuscita a far eleggere neanche stavolta. Passando alle liste collegate, la battaglia Rometti-Buconi dentro i socialisti si è risolta con la vittoria (e l’elezione) del primo, seppur di poco. Sul filo di lana il superamento del quorum per la sinistra chiamiamola di governo e infine a bocca asciutta la lista della presidente che è diventata, visto l’insuccesso, no beautiful.
Passando al centrodestra, la sorpresa delle sorprese è il trionfo della Lega Nord che diventa il primo partito della coalizione con il 14 per cento e due consiglieri. Un’affermazione che la dice lunga sulla linea di Salvini ed è riduttivo circoscrivere il verdetto solo come un voto di protesta. Lo smacco più grande l’ha subìto Forza Italia che è riuscita ad agguantare solo un 8 e mezzo. Buona la prestazione dei Fratelli d’Italia con il 6,23. Deludente il piazzamento delle civiche che erano state sbandierate come il nuovo e tra tutte e tre portano a casa un seggio e basta. Al di là della rincorsa del candidato a presidente nel famoso testa a testa il primo dato che emerge e su cui vale la pena riflettere è che l’effetto Romizi sul voto regionale non si è visto granché.
In compenso c’è stato un enorme svecchiamento tra le fila del centrodestra con esclusi eccellenti (come Lignani Marchesani, Valentino, Monni, Rosi) e facce fresche. Ma i “rottamati” ci sono anche dall’altra parte, Casciari, Galanello e Mariotti tanto per fare qualche nome. E questo tema sarà oggetto di interpretazioni, studi incrociati, con voti che non rispondono all’appello delle promesse e della vigilia.
E veniamo al Movimento 5 Stelle che si conferma il secondo partito in Umbria con il 14,55 ed entra per la prima volta a Palazzo Cesaroni con ben due esponenti. Un risultato che conferma lo zoccolo duro di un certo elettorato che non si riconosce nei due schieramenti.
Insomma la nuova assemblea legislativa si presenta largamente rimaneggiata negli uomini e nelle donne ma anche probabilmente nella linea politica. Ad accomunare gli schieramenti la certezza che le rendite di posizioni, antiche o recenti, possono finire. La presidente Marini è chiamata a un compito di grande responsabilità con un consiglio non proprio agibile sulla carta, sia tra le file amiche che tra gli avversari per una certa dose di estremismi rappresentati dai salviniani e dai grillini. Un solo auspicio in conclusione: che la maggioranza governi con scelte coraggiose questa regione, l’opposizione non faccia sconti e sia costruttiva. Per il bene di tutti, per il bene comune.
anna.mossuto@gruppocorriere.it
www.annamossuto.it
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