lunedì 12 giugno 2017

Destino da scrivere per Riina

Editoriale Radio Onda Libera del 6 giugno 2017
 
Tutti hanno diritto a morire dignitosamente. Lo ha affermato la Corte di cassazione. Anche i detenuti e anche se il detenuto si chiama Totò Riina, capo dei capi di Cosa Nostra, condannato per le bombe negli anni del terrore degli attentati mafiosi e per la strage di Capaci, ormai ottantaseienne gravemente malato. 
Il giudice che deve valutare sulla sua permanenza in carcere deve tenere conto di questo principio e nel caso motivare espressamente il suo parere contrario. La pronuncia con la quale la suprema Corte per la prima volta apre al ricorso della difesa di Riina, che da anni chiede il differimento della pena o i domiciliari per motivi di salute, ha suscitato polemiche, in primis dalle vittime di mafia.
I giudici gli hanno negato sempre questo diritto, chiesto tra l'altro in passato anche da Bernardo Provenzano, trattenuto fino alla morte al 41 bis. Il tribunale non aveva ritenuto che vi fosse incompatibilità tra l'infermità fisica di Riina e la detenzione in carcere, visto che le sue patologie venivano monitorate e quando necessario si era ricorso al ricovero in ospedale a Parma. Ma la Cassazione sottolinea, a tale proposito, che il giudice deve verificare e motivare "se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un'afflizione di tale intensità" da andare oltre la "legittima esecuzione di una pena".
Contro la decisione della Cassazione si sono schierati Lega, Forza Italia e anche il Movimento 5 Stelle. Ma anche l'Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili si dice "basita" e annuncia proteste, come la presidente dell'antimafia Bindi.
Ora come al solito l'equilibrio sta nel mezzo. Ha ragione la suprema Corte nel riconoscere un diritto individuale, ma a nostro avviso hanno ragione anche coloro che protestano perché le ragioni di clemenza verso il capo dei capi di Cosa Nostra sono difficili da conciliare con le sue azioni criminose e la scia di sangue.

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