mercoledì 11 ottobre 2017

L'abbraccio non c'è stato

Il punto del direttore dell'8 ottobre 2017

Più che la difesa della Perugina è stata una manifestazione a favore del lavoro. Il lavoro che manca e soprattutto il lavoro che è a rischio in centinaia di piccoli e grandi siti produttivi dell’Umbria. Tante bandiere e tanti striscioni, molta preoccupazione e altrettanta rabbia, parecchie voci al microfono sul palchetto di piazza Matteotti, per il resto l’abbraccio della città alla storica fabbrica di San Sisto non c’è stato.
C’erano diverse centinaia di persone ma tutte identificabili con il ceto sindacale, i rappresentanti politici e delle associazioni, e ovviamente i lavoratori interessati al proprio destino. La partecipazione della gente comune, dei cittadini, purtroppo non si è vista. Inutile raccontarsi le bugie. Le immagini sono lì a testimoniare che qualcosa, il legame dell’industria del cioccolato con la città, non si è palesato. Un’occasione persa, un’occasione per difendere un’azienda che ha rappresentato la storia di una regione.
Era il momento di schierarsi a fianco dei lavoratori, era il momento di tirare fuori una soluzione per ragionare sul futuro. Niente, tocca prendere atto che la mobilitazione non c’è stata e questo deve far riflettere tutti, i sindacati e le istituzioni in primis. Se la gente ha deciso di non scomodarsi vuol dire che la Perugina interessa soltanto chi ci lavora, chi rappresenta i lavoratori e chi per dovere se ne deve occupare. Per il resto la vertenza contro la Nestlé è diventata una delle tante sui tavoli, risultato di una crisi senza fine. Quasi che la Perugina, vista l’indifferenza dei perugini, ha smesso di essere il simbolo di una comunità, non è più la fabbrica della città. Le ragioni possono essere le più diverse. Perché l’azienda non ha più il cervello qui? Perché nonostante le proteste nei mesi scorsi è stata comunque smontata un pezzo alla volta? Perché forse è subentrata una sorta di rassegnazione nei confronti di una fine già segnata? Ma tutte queste domande non possono restare senza risposta e soprattutto richiederebbero l’individuazione di un minimo di responsabilità. La sensazione è che si possono fare tutte le manifestazioni che si vogliono ma i piani di una multinazionale come la Nestlé non si modificano a maggior ragione se il tessuto in cui opera l’unità produttiva se ne disinteressa.
La mente corre a una vertenza simile e simbolo, quella dell’Ast di tre anni fa a Terni. Nel secondo capoluogo dell’Umbria la fabbrica dell’acciaio rappresentava e rappresenta la storia di una comunità, ma allora di fronte alle centinaia di esuberi annunciati dalla Thyssen Krupp l’intera città si strinse per giorni e giorni attorno agli operai di viale Brin, facendo sentire sostegno, condivisione e conforto. Durante le mobilitazioni in migliaia e migliaia scesero per strada, le saracinesche dei negozi si abbassarono, gli altri lavoratori disertarono uffici, la solidarietà fu commovente tanto era forte il timore di un impoverimento delle Acciaierie.
Per la fabbrica del cioccolato questo, purtroppo, non è avvenuto. Nonostante la Perugina fosse considerata fino a ieri non una qualsiasi azienda umbra ma l’azienda con la A maiuscola perché aveva caratterizzato, anzi era stata la storia industriale della città e della regione.
Se si accantona il discorso partecipazione e ci si sofferma sulla solidarietà ai lavoratori della Perugina questo aspetto pare tradursi in una vicinanza di circostanza, doverosa e formale, ma nel concreto quello che servirebbe per salvare i posti di lavoro è una proposta, un’idea, perché la Nestlé come tutte le aziende del mondo di questi tempi ha in mente solo i conti, i numeri, e se una fabbrica non è produttiva o se la produzione costa meno da un’altra parte allora non ci pensa due volte a smantellare, a dismettere, a licenziare. Un’idea per salvare la Perugina la deve tirare fuori chi ha la responsabilità della politica economica di questa regione, insieme ai sindacati, se si ha a cuore il bene comune. E la perdita di oltre trecento posti sarà un’altra mazzata a un sistema produttivo già prostrato, ma qualora si ricollocassero gli esuberi, i destini individuali, il futuro della città e della regione sarebbe scritto comunque perché la Perugina non è più la fabbrica di Perugia e dell’Umbria.
anna.mossuto@gruppocorriere.it

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